Ponti (AIP): «Il piede diabetico è una condizione in cui la presenza o la compresenza di neuropatia e vasculopatia determina alterazioni anatomo-funzionali. Sono proprio tali alterazioni ad esporre il piede ad un alto rischio di ulcerazione e di infezione»
Il diabete è la prima causa di amputazione non traumatica. Numerose ricerche scientifiche confermano che una presa in carico del paziente diabetico da parte di un team multidisciplinare può diminuire notevolmente il numero di amputazioni, migliorando la qualità di vita e riducendo i costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale. «Un paziente che subisce l’amputazione di una gamba non sarà più autosufficiente ed avrà bisogno sia di un’assistenza continua, che di maggiori cure», spiega a Sanità Informazione Valerio Ponti, presidente AIP, l’Associazione Italiana Podologi.
Il podologo è il professionista sanitario che, lavorando in equipe con medici e sanitari, può prendersi cura del piede diabetico, evitando un peggioramento della patologia ed evitando l’amputazione. Sono molte le ricerche internazionali che hanno dimostrato l’efficacia dell’inserimento del podologo nella gestione del piede diabetico. «Da un recentissimo studio pubblicato su Journal of Foot and Ankle Research è emerso che un team multidisciplinare che abbia al suo interno il podologo riduce il rischio di amputazione maggiore o minore di circa il 31%, in virtù proprio degli interventi che il podologo può fare – assicura il professionista sanitario -. Se si considera soltanto l’amputazione maggiore, la riduzione è di circa il 55%».
In Italia superano i 3 milioni le persone affette da diabete: il 70% ha più di 65 anni e il 40 è over 75. Cifra a cui si aggiunge un ulteriore milione di individui che non sanno di averlo. Ancora, 4 milioni sono le persone ad alto rischio di sviluppare la patologia, tanto che ogni 2 minuti una persona riceve diagnosi di diabete (fonti: Annali AMD 2018, ISTAT 2017, Associazione Ricerca e Diabete, SID, Italian Diabetes & Obesity Barometer Report 2018). «Il piede diabetico – dice Ponti – è una condizione in cui la presenza o la compresenza di neuropatia e vasculopatia determina alterazioni anatomo-funzionali. Sono proprio tali alterazioni ad esporre il piede ad un alto rischio di ulcerazione e di infezione».
Dati Europei mostrano che il 15 % della popolazione diabetica sviluppa almeno un’ulcera al piede nel corso della propria vita. «In termini di qualità della vita il piede diabetico impatta non solo sul paziente ma anche su tutta la rete familiare intorno. Non solo si vive peggio, ma anche meno a lungo: «Uno studio, che ha esaminato 1088 pazienti con ulcere diabetiche, trattati in 14 centri specializzati, in 10 nazioni europee, ha evidenziato un tasso di mortalità pari al 6,4% del totale dei pazienti ad 1 anno dalla comparsa della lesione», racconta il podologo.
Già da alcuni anni, precisamente, dal 2019, esistono delle Linee Guida, redatte dall’International Working Group of Diabetic Foot (IWGDF). Il gruppo di lavoro ha pubblicato precise raccomandazioni sulla gestione e sulla prevenzione della patologia, basandosi su una systematic review della letteratura. «Sono cinque le “pietre miliari” individuate per la prevenzione delle ulcere – dice Ponti- . Innanzitutto l’identificazione del piede a rischio. Poi, l’ispezione e l’esame dell’arto. Fondamentale educare il paziente, la famiglia e gli operatori sanitari. Ancora – conclude il podologo – garantire l’uso di calzature adeguate e trattare i fattori di rischio per l’ulcerazione».
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