Con la molecola di propranololo possibile una cura per l’angioma cerebrale. In due anni risultati incoraggianti evidenziano una riduzione delle emorragie cerebrali e dei deficit neurologici focali
Speranze per i malati di malformazione cavernosa cerebrale, meglio nota come angioma cerebrale, una patologia che causa dilatazione e fragilità dei vasi sanguigni del cervello. Per questa malattia rara, che prevede come unica soluzione un intervento chirurgico, oggi esiste una nuova possibilità di cura grazie ad uno studio clinico italiano TREAT-CCM frutto della collaborazione tra Roberto Latini, Capo Dipartimento di Medicina Cardiovascolare dell’Istituto Mario Negri ed Elisabetta Dejana, responsabile dell’unità di ricerca del sistema vascolare del cancro presso l’IFOM.
«La denominazione corretta della malattia è malformazione cavernosa cerebrale – puntualizza Roberto Latini – e si tratta di una forma di angiomatosi che colpisce in media un individuo ogni cinquemila nella forma familiare e uno ogni cinquecento nella forma sporadica». Non ci sono differenze sostanziali tra l’una e l’altra, se non nella casistica e nella evoluzione della malattia. «Sembra ci sia infatti una radice comune determinata dalla perdita di funzione di uno dei tre geni che si chiamano CCM1, CCM2, CCM3 che si trovano nell’endotelio vascolare – aggiunge Latini -. Nel primo caso è una condizione che si eredita da uno dei due genitori, nel secondo si manifesta in modo casuale». Gli angiomi possono anche trovarsi oltre che nel cervello, negli occhi, nel cuore, nella milza, nelle vie aeree respiratorie e nel fegato.
Se un ictus emorragico di un nonno o di un genitore può essere un monito per indagare e scoprire la presenza di una malformazione cavernosa cerebrale familiare, nel caso di angiomatosi sporadica è bene non sottovalutare dei sintomi ricorrenti transitori come cefalee, disturbi della vista o dell’equilibrio. Un altro campanello d’allarme è la crisi epilettica, mentre nei casi più gravi la malattia si manifesta con una emorragia cerebrale.
« Non esiste in ogni caso un decorso prestabilito della malattia – fa notare il ricercatore – alcune volte si può arrivare a fine vita senza mai aver avuto un evento di disturbo, in altri casi invece i sintomi sono ricorrenti. Molto dipende da dove è collocato l’angioma e dalla sua crescita. Ci sono angiomi anche di trenta millimetri che tendono a dilatarsi e poi proliferano. In alcuni soggetti abbiamo riscontrato anche duecento angiomi, di cui circa un venti percento nel midollo spinale o nella retina».
Gli angiomi ereditari si caratterizzano dalla presenza di tre geni CCM1, CCM2 e CCM3 mutati. Ogni persona ha una probabilità pari al 50% di ereditare la malattia se uno dei genitori è portatore del gene mutato, perché si tratta di una patologia che non risparmia nessuna generazione. Non tutte le forme di angioma cerebrale familiare però si manifestano, molti restano asintomatici e per individuarli si può effettuare un test genetico che verifica la presenza di uno dei geni mutati. I portatori di mutazioni del gene CCM1 e CCM2 sviluppano angiomi cavernosi multipli, mentre i portatori del gene CCM3 hanno un decorso della malattia più aggressivo, con la formazione in genere di un maggior numero di angiomi cerebrali o emorragie. La malattia esordisce nell’età infantile e progredisce nel tempo.
Se la chirurgia rappresenta ancora la strada maestra per trattare la patologia, da tempo si cerca di capire se è possibile percorrere altre vie per cercare di intervenire nei soggetti dove l’angioma cerebrale si trova localizzato in profondità e dunque non operabile. Studi fatti in passato in Francia e negli Stati Uniti su bambini molto piccoli e soggetti inoperabili, hanno convinto il dottor Latini e la professoressa Dejana ad impiegare la molecola del propranololo su 71 pazienti arruolati in sei centri italiani: Policlinico di Milano, Besta, Ospedale Niguarda, IRCCS Gemelli di Roma, Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo e il centro neurolesi di Messina.
«Il primo paziente è stato arruolato nell’aprile 2018 – racconta Latini – ed abbiamo concluso il lavoro nel 2021 con 71 soggetti affetti da malformazioni cavernose cerebrali familiari. L’obiettivo era capire se il propranololo potesse essere alla base di un approccio terapeutico alternativo alla chirurgia, meno invasivo e più risolutivo. Lo studio prevedeva inoltre una risonanza magnetica all’anno centralizzata presso il Policlinico di Milano e dei prelievi per identificare e caratterizzare nuovi marcatori diagnostici e terapeutici».
L’impiego quotidiano di 20 -80 milligrammi della molecola di propranololo, già noto a partire dagli anni ’60 per la cura di alcune malattie cardiovascolari, ha dato una risposta incoraggiante. «Lo studio in due anni ha evidenziato una riduzione, rispetto ai controlli, del numero di emorragie cerebrali sintomatiche e di deficit neurologici focali nei pazienti trattati con la molecola di propranololo che, per altro, non ha dato effetti collaterali rilevanti. Un’eccellente premessa – conclude Roberto Latini – per l’avvio di uno studio su un gruppo di pazienti più ampio che produca evidenze definitive sulla sua efficacia terapeutica».
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