Li chiamano “triangoli di sopravvivenza”, in Turchia hanno fatto restare in vita persone anche a otto giorni dal terremoto. Parlano Comelli (USAR AREU Lombardia), Sara Montemerani e Alessandro Coppa di USAR Toscana, associati a SIMEU, impegnati da una settimana nella provincia di Hayat, ad Antiochia
Sono trascorse oltre 200 ore dal sisma, quando in Turchia vengono estratte ancora vive alcune persone, mentre qualche ora prima un neonato è uscito indenne da un palazzo crollato. È l’ennesimo caso di sopravvissuti al terribile sisma. Qualcuno grida al miracolo, eppure resistere tanto a lungo sotto le macerie è possibile, anche se non frequente, come spiega a Sanità Informazione Andrea Comelli, Medical Officer Team USAR AREU Lombardia (Urban Search And Rescue).
Li chiamano triangoli di sopravvivenza, sono le bolle d’aria che si formano quando crolla un edificio tra un muro di cemento armato, una soletta e una intercapedine. «Se si ha la fortuna di trovarsi in quella posizione al momento del crollo, le probabilità di farcela sono più alte», spiega Comelli da otto giorni impegnato nel coordinamento del contingente italiano che opera a nord est di Antiochia, al confine con la Siria, vicino a quello che è stato l’epicentro del sisma. «Il team lombardo – racconta – è formato da due medici, due infermieri e due tecnici di emergenza che curano la logistica sanitaria, oltre ai vigili del fuoco che rappresentano la componente tecnica. In loco con l’aiuto dei cani cercano di individuare i sopravvissuti sotto le macerie. Una volta avvertita la presenza di una vita scavano una strada per raggiungere il superstite, lo stabilizzano e scelgono la via migliore per l’estrazione. È un percorso lungo, che richiede tempo e comporta molti rischi».
Sono oltre 40 mila le vittime del terribile sisma che ha interessato Turchia e Siria, eppure c’è chi ancora sopravvive. «E’ una corsa contro il tempo – spiega Comelli – possibile solo se si presentano delle condizioni favorevoli. Innanzitutto, non devono esserci traumi da crollo, in particolare a carico dell’encefalo o di altri organi vitali. Dopodiché è fondamentale che l’individuo nel suo triangolo di sopravvivenza abbia le vie respiratorie libere, senza calcinacci o polvere che impediscano la respirazione». Stabilire un limite alla sopravvivenza è molto difficile. Di solito dopo 48 ore le probabilità di rimanere in vita si riducono notevolmente, ma la forza della vita è imprevedibile. «Non devono esserci emorragie interne o ferite infette, in quel caso il rischio di non farcela aumenta».
Quando il corpo non ha subito traumi e non ci sono calcinacci che impediscono la respirazione, o ferite infette e lesioni interne, per sopravvivere occorre vincere il freddo e la disidratazione. «Spesso la morte sopraggiunge lentamente per ipotermia o disidratazione – commenta il responsabile AREU -. È importante, quando si riesce a localizzare i sopravvissuti sotto le macerie mantenere viva la comunicazione e cercare di idratarli». Il freddo, paradossalmente, in Turchia può essere un alleato per mantenere in vita i sopravvissuti. «Un individuo può resistere giorni senza cibo, perché il corpo può attingere dalle riserve di grasso e dalle proteine dei muscoli, ma non può restare a lungo senza idratazione – fa notare Comelli -. Il freddo in questo frangente può rallentare la disidratazione, ma non può certo arrestarla».
I reni sono gli organi più a rischio. «Ad un certo punto l’acqua del corpo evapora. Se non ci sono fonti di idratazione, i reni non riescono più a svolgere la loro funzione. Anche la pressione del sangue diminuisce finché i reni si bloccano e si verifica una insufficienza renale». In queste condizioni un ruolo fondamentale spetta alla mente e all’istinto di sopravvivenza.
Proprio la forza della vita sembra essere stata fondamentale per la sopravvivenza di tanti neonati recuperati ancora in vita a distanza di giorni dal terribile sisma. «Sarà di sicuro oggetto di studio questo fenomeno – aggiunge Comelli -, spazi ristretti hanno agevolato i neonati, ma non può essere una equazione perfetta perché i bambini piccoli sono anche più sensibili al freddo e alla disidratazione. Eppure, sembra che, in questo frangente, il loro metabolismo sia rallentato al punto da subire meno danni». Un segnale di speranza e di forza che queste piccole vite, strappate alla morte dopo tante ore sotto le macerie, danno anche ai soccorritori.
Sara Montemerani e Alessandro Coppa sono due medici di emergenza urgenza di USAR Toscana, associati a SIMEU, (Società Scientifica Italiana della Medicina di Emergenza Urgenza), impegnati da una settimana nella provincia di Hayat, ad Antiochia. Lavorano ininterrottamente anche per dodici ore al giorno, sono instancabili. «Normalmente entro qualche giorno è improbabile trovare sopravvissuti sotto le macerie – raccontano -, però ci sono casi che dimostrano quanto il tasso di sopravvivenza possa essere maggiore del prevedibile, anche a distanza di tempo. Pertanto, la speranza rimane viva».
Una corsa contro il tempo che deve fare i conti con il rischio infezioni «destinato ad aumentare progressivamente – aggiungono – , per cui le prossime settimane saranno impegnative su questo fronte». A tenere viva la speranza sono i soccorritori e i locali: «Il team dei vigili del fuoco è straordinario – sottolineano – così come il livello di integrazione tra medici e infermieri e la popolazione locale. Persone con una compostezza incredibile. Incrollabili».
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