In un pub di Cambridge l’annuncio della scoperta che avrebbe rivoluzionato la biologia e la medicina. Dalle malattie rare ai tumori, enormi i campi di applicazione. E sul Covid-19 gli studi del Nobel Svante Pääbo ci spiegano perché alcuni geni ereditati dai Neanderthal aumentano il rischio di malattia grave
Una targa circolare, dallo sfondo turchese, campeggia da decenni all’esterno del pub Eagle nel centro di Cambridge. Ricorda che quello fu il luogo di ritrovo degli scienziati del Cavendish Lab ed è proprio lì che il 28 febbraio del 1953 Francis Crick e James Watson annunciarono per la prima volta di aver scoperto come il DNA porti con sé l’informazione genetica, una scoperta che avrebbe rivoluzionato la biologia negli anni a venire e sarebbe valso ai due scienziati il Premio Nobel per la medicina nel 1962.
La struttura del Dna venne scoperta nel laboratorio Cavendish dell’Università di Cambridge, grazie alle immagini di cristallografia ai raggi X scattate da Maurice Wilkins e da Rosalin Franklin. Grazie a quegli esperimenti, Watson e Crick intuirono che il Dna era simile a una scala a pioli avvolta in senso orario, con uno scheletro di zucchero e fosfati e i gradini costituiti dalle basi azotate, ovvero le ‘lettere’ del codice genetico (adenina, timina, citosina e guanina) appaiate a due a due.
I progressi degli ultimi decenni
Da allora tanti i progressi. Uno dei più importanti è stato sicuramente quello della lettura del codice genetico fatta dal grande Progetto genoma umano, che tra il 1990 e il 2000 ha coinvolto migliaia di scienziati di tutto il mondo per sequenziare le oltre 3 miliardi di ‘lettere’ (basi) che compongono il codice della vita della specie umana.
Risalgono invece al gennaio del 2013 la pubblicazione delle prime ricerche che dimostravano l’applicazione su cellule umane e animali della Crispr, la tecnica che ‘taglia e incolla’ il Dna. Una rivoluzione per l’ingegneria genetica, premiata con il Nobel nel 2020, che ha gettato le basi per terapie innovative contro malattie genetiche, infettive e tumori, ma che ha anche aperto la strada a colture e allevamenti più resistenti e alla possibilità di salvare specie in via di estinzione.
La conoscenza della sequenza del DNA ci permette di identificare le cause genetiche di molte malattie ereditarie, di sviluppare farmaci mirati e di creare terapie genetiche. La manipolazione del DNA può anche essere utilizzata per produrre organismi geneticamente modificati utili per l’agricoltura, la produzione di alimenti e la salvaguardia dell’ambiente. In sintesi, il DNA è un’importante molecola che rappresenta la base della vita e della diversità biologica.
Anche i tumori sono un campo su cui le scoperte sul DNA possono dare risultati importanti. Le recenti scoperte sulle caratteristiche molecolari dei tumori stanno dando un forte impulso alla medicina personalizzata in oncologia. Infatti, analizzando il DNA delle cellule tumorali, oggi è possibile definire approcci terapeutici più mirati, che vanno a colpire direttamente le cellule malate, lasciando intatte quelle sane, con migliori risultati nella cura delle neoplasie e minori effetti collaterali rispetto alla sola chemioterapia. L’oncologia di precisione è oggi una prospettiva che può dare risposte innovative più efficaci alla maggior parte dei tumori della popolazione generale, cioè quelli sporadici, non correlati alla presenza di specifiche alterazioni genetiche.
«Negli ultimi venti anni abbiamo capito come leggere e interpretare le informazioni contenute nel nostro genoma» ha spiegato all’ANSA il genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata. «Questo ha dato un grosso impulso alla ricerca: basti pensare che il sequenziamento del Dna è riuscito a dare un nome a quasi il 50 per cento delle malattie genetiche rare sconosciute che fino a pochi anni fa costringevano i pazienti a difficili e dolorosi viaggi della speranza».
Novelli ha poi ricordato la possibilità che abbiamo oggi di sviluppare test predittivi e in molti casi di trovare il farmaco giusto per il singolo paziente, anche nella lotta ai tumori. Inoltre possiamo curare malattie genetiche un tempo considerate inguaribili, come la talassemia, l’emofilia, l’anemia falciforme, alcune forme di cecità e l’atrofia muscolare spinale.
E gli studi del DNA sono anche quelli premiati nel 2022 con il Nobel per la medicina assegnato al biologo Svante Pääbo per le sue scoperte sul genoma degli ominidi. Pääbo, infatti, ha sequenziato il genoma del Neanderthal, un antenato degli esseri umani di oggi. Una scoperta considerata fino a pochi anni fa impossibile e che, di fatto, ha aperto un nuovo campo di ricerca: la paleogenomica.
Gli studi di Pääbo sulle differenze genetiche tra gli esseri umani di oggi e gli ominidi ormai estinti permettono di fare un enorme passo avanti negli studi dell’evoluzione. La comunità scientifica ha provato per decenni a utilizzare metodi genetici moderni per studiare il Dna dei nostri antenati. Fino alla scoperta di Pääbo, però, senza troppo successo. Con il tempo, infatti, il Dna, si degrada a brevi frammenti contaminati dai batteri. Negli anni Novanta, il biologo svedese è riuscito a sequenziare una regione di Dna mitocondriale da un osso risalente a 40 mila anni. Così, per la prima volta, abbiamo avuto accesso a una sequenza genetica di un nostro antenato ormai estinto.
E gli studi sulla paleogenetica hanno spiegato anche alcuni fattori di rischio per il Covid: lo stesso Pääbo, insieme ad Hugo Zeberg del Karolinska Institutet di Stoccolma, aveva scoperto un gene tramandato dai Neandertahl che aumentava le probabilità di ammalarsi gravemente di Covid-19.
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