All’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica campus di Cremona, è stata sviluppata e validata scientificamente una scala di coinvolgimento alimentare, la Psychological Food Involvement Scale o PFIS. La ricercatrice: «Grazie a questa scala potremmo gestire gli ‘sgarri’ dei pazienti a rischio, motivare le tendenze alimentari e orientare le campagne per la promozione del benessere»
Per un italiano su cinque l’alimentazione è “questione di salute”: ci si nutre con l’obiettivo di mantenersi in forma. Per quasi uno su due, invece, il cibo è un mezzo per relazionarsi. A rivelarlo uno studio svolto presso l’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica, campus di Cremona diretto dalla professoressa Guendalina Graffigna. «Grazie a questa stessa ricerca – spiega la professoressa Graffigna a Sanità Informazione -, è stato possibile sviluppare e validare scientificamente una scala di coinvolgimento alimentare, la Psychological Food Involvement Scale o PFIS».
Grazie a questo indice sarà possibile analizzare in modo obiettivo quale significato un determinato individuo attribuisce al cibo. «Utilizzando l’indice Psychological Food Involvement Scale, o PFIS, potremmo comprendere anche alcune motivazioni, spesso inespresse, che orientano verso precisi consumi alimentari piuttosto che altri». I risultati che si otterranno potranno avere una duplice valenza, una soggettiva ed un’altra universale. «Sottoponendo al test un individuo che soffre di una patologia gastrointestinale, ad esempio, potremmo valutare il suo coinvolgimento emotivo nella scelta del cibo e proteggerlo da eventuali sgarri e da quelle scelte alimentari sbagliate che possano peggiorare la sua condizione di salute. Mettendo insieme, invece, i profili di più pazienti – continua la ricercatrice – i risultati ottenuti potrebbero orientare le campagne medico-scientifiche di comunicazione, educazione e sensibilizzazione, come quelle per la promozione dei corretti stili di vita, rendendole più efficaci».
Dallo studio, infatti, è emerso che le persone che totalizzano punteggi elevati su questa nuova scala di valutazione tendono a seguire una dieta salubre che le porta a fare scelte alimentari più sane rispetto a chi assegna al cibo un minore valore simbolico. Per validare scientificamente la Psychological Food Involvement Scale le ricercatrici hanno analizzato i test compilati da 512 diverse persone. I risultati hanno dimostrato che la scala PFIS è valida e affidabile nella misurazione della dimensione simbolica del cibo e del coinvolgimento alimentare di ciascuno.
«La scala indaga diverse e nuove dimensioni psicologiche relative alle nostre scelte alimentari – spiega la dottoressa Greta Castellini, che ha condotto lo studio -. Per esempio, quanto il cibo è considerato dal singolo come un mezzo attraverso il quale provare emozioni positive e raggiungere un benessere psicofisico. Ma esplora anche quanto il cibo e in particolare le scelte alimentari siano un mezzo importante per esprimere se stessi e la propria personalità. Infine, valuta quanto il cibo e le scelte alimentari siano considerate dal singolo come un mezzo attraverso cui essere accettati dagli altri e quanto il cibo sia considerato dal singolo come un tramite grazie al quale prendersi cura dei propri cari e rafforzare i legami familiari».
Ma non è tutto. Con la PFIS è possibile dare una spiegazione anche alle “mode” del momento: «Utilizzando questa scala è possibile dare un perché ad alcune tendenze alimentari di successo, dal consumo di bevande vegetali a quelle senza lattosio, evidenziandone proprio il valore simbolico. In questo ambito è l’influenza sociale, quindi il desiderio di affermarsi all’interno della società, a giocare un ruolo fondamentale nella decisione di acquistare un determinato prodotto. Inoltre, chi sceglie di consumare bevande vegetali – dice Graffigna – lo fa anche al fine di mostrare i propri valori e le proprie idee in tema di sostenibilità, come il rispetto per gli animali e per l’ambiente».
Finora le ricercatrici si sono concentrare sull’analisi delle abitudini alimentari di soggetti sani. «Tuttavia – sottolinea la professoressa Graffigna – questa scala può essere potenzialmente utilizzata per valutare qualsiasi individuo. E nel caso di soggetti affetti da particolari patologie in cui l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale, può rappresentare un valore aggiunto non di poco conto». Intanto le ricercatrici sono già a lavoro per ampliare gli orizzonti del loro studio: «Vorremmo dedicarci ad una sperimentazione transculturale per verificare la validità di questo test e della scala ad esso associata – conclude l’esperta – anche tra quelle popolazioni in cui il cibo non ha una connotazione culturale forte ed evidente come tra gli italiani».
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