L’emofilia è una malattia rara che colpisce prevalentemente i soggetti maschili ed è legata alla mancanza di un fattore indispensabile per la coagulazione del sangue. Un team di esperti ai microfoni di Sanità Informazione, racconta il futuro delle terapie
L’emofilia è una malattia rara che colpisce la coagulazione del sangue. Chi ne soffre è a rischio emorragie esterne e interne che si possono verificare di seguito a urti seppur lievi. Esistono principalmente due tipologie di Emofilia: l’emofilia A che consiste nella mancanza o nella scarsità del fattore di coagulazione VIII, di cui è affetto il 9-10% circa dei pazienti. Invece nell’emofilia B, è assente o non sufficiente il fattore di coagulazione IX. In occasione dell’incontro organizzato da Bayer, presso la residenza di Ripetta a Roma, per presentare un nuovo farmaco innovativo per il trattamento dell’Emofilia A, Sanità Informazione ha interpellato vari esperti nel campo delle malattie ematologiche e trombotiche per fare un quadro, il più chiaro possibile, dell’emofilia e delle abitudini di vita dei pazienti affetti da questa malattia rara.
Nuove prospettive di cura: il presente dei pazienti emofilici
«Rispetto al passato i miglioramenti sono tanti – spiega Raimondo De Cristofaro, Malattie emorragiche e trombotiche Policlinico Gemelli – il primo progresso, che è già in atto, è l’utilizzo di farmaci che contengono dei fattori di cui sono carenti i pazienti, che hanno una più lunga ‘emivita’, quindi perdurano nel sangue dei paziente più a lungo rispetto alle medicine del passato. Questo ovviamente riduce la necessità di frequenti infusioni del farmaco stesso e migliora enormemente la qualità di vita dei pazienti, soprattutto in campo pediatrico. In prospettiva abbiamo anche la possibilità, e su questo è in corso una varietà di studi, di attuare la terapia genica che ovviamente permetterà una persistente elevazione dei livelli del fattore di cui il paziente è carente».
Nuove terapie che dicono addio al passato
«Nuove prospettive di vita sono date da questi nuovi farmaci ‘long acting’ – evidenzia Cristina Santoro, ematologa ricercatrice Policlinico Umberto I, dipartimento biotecnologie cellulari – che riducendo almeno in parte, il numero delle infusioni che i pazienti devono somministrarsi, sicuramente migliorano tantissimo la qualità di vita. Dobbiamo ricordarci che l’emofilia è una malattia congenita che quindi colpisce il paziente dalla nascita per cui anche per quanto riguarda i bambini, poter ridurre il numero delle iniezioni, delle infusioni è una cosa importante, non solo per i bambini ma anche per gli adulti. Quanto si è lontani dal passato? Dal passato remoto siamo molti lontani, tanto che parliamo proprio di malattie differenti se pensiamo ai bambini di oggi, gli adolescenti di oggi, rispetto a quelli del passato. Dal nostro passato più recente, questo è probabilmente un momento di transizione, mi riferisco ad un passato recente che ci offre ottime possibilità di cura però il futuro è vicino, ed è adesso»
La diagnosi ‘prima’ della malattia
«È possibile fare una diagnosi prenatale per capire se il bambino soffre di emofilia». Spiega Matteo Luciani, responsabile Centro Emostasi e Trombosi dell’Ospedale Bambino Gesù. «Ovviamente la diagnosi prenatale può essere fatta nelle famiglie dove sono presenti soggetti emofilici. Purtroppo ci sono anche casi di un’anamnesi muta, quando, all’improvviso si manifesta la malattia che non si poteva prevedere. Si tratta inizialmente di un vero e proprio trauma e in genere si manifesta quando la madre del soggetto che scopre la malattia, è portatrice sana pur non sapendolo. Infatti nelle donne l’emofilia non si manifesta in maniera palese, si hanno lievi sintomi, non avvengono manifestazioni emorragiche importanti».
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