Uno dei problemi più grandi è la malnutrizione per i pazienti senza stomaco. Claudia Santangelo, presidente dell’associazione Vivere senza stomaco si può spiega: «In ospedale c’è il nutrizionista, ma sul territorio non siamo coperti nonostante ci sia un accorso Stato-Regioni firmato già qualche anno fa»
Le reti oncologiche, la necessità di una presa in carico complessiva sin dalla diagnosi, la ricerca. Possiamo sintetizzare così alcune delle richieste che arrivano dall’Associazione “Vivere senza stomaco si può”, una realtà che già nel nome vuole dare una speranza a tutti coloro che hanno subito una gastrectomia, cioè la rimozione chirurgica dello stomaco a causa di un cancro allo stomaco. Un tumore che si presenta in un numero non limitato di casi: In Italia si stima che ogni anno vengano diagnosticati 8.400 tumori allo stomaco negli uomini e 6.100 nelle donne.
«Abbiamo inteso dare una speranza partendo da una esperienza personale – racconta Claudia Santangelo a Sanità Informazione -. Quando arriva la diagnosi ci siamo chiesti se si potesse vivere senza stomaco. Il nome dell’associazione è una indicazione di percorso di cura per dire che si può vivere senza stomaco».
La storia di Claudia comincia nel lontano 2008: «Ero in partenza per un convegno sulla disabilità a Bari. Dalla gastroscopia arrivò il terribile esito e naturalmente si è fermato tutto. Dopo otto giorni ero già in sala operatoria da cui sono uscita completamente senza stomaco. Ho fatto la chemio ma il mio orizzonte era davvero molto limitato. Poi pian piano si è allungato. Così con altri amici abbiamo deciso di creare l’associazione per aiutare altre persone che si trovano in questa condizione. Lo considero un dovere».
Lo stato di avanzamento è decisivo per valutare la sopravvivenza: se il tumore è limitato alla sottomucosa dello stomaco e non sono presenti metastasi, la sopravvivenza a cinque anni è del 90 per cento. In caso di cancro gastrico a uno stadio avanzato, la sopravvivenza a 5 anni scende a circa il 25 per cento.
«Quando ti rendi conto che tu sei tra quelle persone fortunate che quell’aspettativa di vita ce l’ha capisci non puoi far altro che aiutare gli altri. Abbiamo un forum di 4500 persone con moderatori h24. Abbiamo persone sempre in linea a rispondere a bisogni di natura personale, non sanitaria. Abbiamo anche un’area riservata ai soci con diversi specialisti di diverse discipline che rispondono gratuitamente ai quesiti che vengono posti» racconta la presidente dell’Associazione.
Uno dei compiti più importanti dell’associazione è quello di formare e informare le persone anche grazie a degli opuscoli realizzati con i medici sulle informazioni nutrizionali. Perché una delle grandi difficoltà di chi non ha più uno stomaco è la malnutrizione.
«Quando si esce dall’ospedale dopo l’operazione ci viene detto che si può mangiare tutto ma in misura limitata. Non è proprio così. Il primo tempo viene chiamato tempo dello svezzamento e gradatamente si deve reimparare a riconoscere i cibi. Bisogna stare molto attenti agli zuccheri. Abbiamo sbalzi glicemici molto importanti» spiega Santangelo.
«Anche io, a qualche anno dal mio intervento, ho ricominciato ad avere questi sbalzi di glicemia anche molto forti. I medici mi hanno monitorato e si sono resi conto che il problema c’era. Da questo confronto è nato il primo studio sulla variabilità glicemica nei gastro resettati. Abbiamo coinvolto venti persone e adesso stiamo partendo con la seconda fase. I dati che stanno venendo fuori sono sorprendenti.
Tumore allo stomaco patologia in ombra
Santangelo da sempre cerca di coinvolgere le società scientifiche e la politica nei bisogni dei pazienti senza stomaco. «Non è un tumore raro ma neanche così diffuso. Siamo un po’ in ombra e quello che ci interessa è cercare di sensibilizzare le istituzioni perché in ogni regione ci siano trattamenti omogenei su tutto il territorio e capire dove andare a curarsi».
Santangelo spiega: «Il ministero indica in venti interventi il numero minimo affinché un centro sia considerato di eccellenza. Ci sono ospedali che ne fanno 3 – 4 all’anno. Cerchiamo di far capire alle persone che si rivolgono a noi di controllare a quale centro si va. Occorre una unità multidisciplinare che sia in grado di prendersi cura di tutto il percorso».
Fondamentale la presa in carico del paziente alla diagnosi. «Stiamo attivando due -tre percorsi molto interessanti. C’è un vuoto: in ospedale c’è il nutrizionista, ma sul territorio non siamo coperti nonostante ci sia un accorso Stato – Regioni firmato già qualche anno fa. Vogliamo individuare le Regioni dove non funziona la rete oncologica e dove non c’è un Pdta. Dobbiamo lavorare su questo».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato