Nel volume “La cronicità al tempo del Covid” i due ex parlamentari Nicola Provenza e Paola Boldrini hanno voluto raccogliere cinque anni di lavoro dell’intergruppo parlamentare nato nella scorsa legislatura. Tra le priorità quella di stabilizzare modelli assistenziali centrati non solo sui bisogni clinici ma anche su quelli complessivi del paziente
Attuare, aggiornare e finanziare il Piano nazionale delle Cronicità, inserire la telemedicina nei LEA, misurare gli esiti dei PDTA anche in termini di qualità di vita dei pazienti. Sono alcune delle raccomandazioni contenute nel volume “La cronicità al tempo del Covid” (Giuseppe De Nicola editore) scritto dagli ex parlamentari Nicola Provenza e Paola Boldrini animatori nella scorsa legislatura dell’intergruppo parlamentare sulle cronicità. Un lavoro che i due onorevoli hanno deciso di non disperdere ma di riassumere in un libro che vuole essere la base da cui ripartire per le politiche in tema di malattie croniche.
Dalla sfida della cronicità dipende anche la sostenibilità Sistema sanitario nazionale: oggi in Italia di malattie o sindromi croniche soffrono circa 14 milioni di persone, oltre l’8 per cento delle quali over 65. Secondo proiezioni epidemiologiche in un futuro non lontano l’80% delle malattie presenti nel mondo avrà caratteristiche di cronicità.
A complicare la situazione la pandemia Covid 19 che ha costretto a focalizzare l’attenzione del SSN sulla salvaguardia della vita dei pazienti affetti dal virus con le liste d’attesa, già in sofferenza, che si sono ulteriormente allungate.
«Io e la collega Boldrini siamo stati protagonisti della fondazione di questo intergruppo parlamentare – racconta Nicola Provenza a Sanità Informazione -. Durante l’emergenza pandemica la doverosa attenzione al Covid deviava l’interesse del sistema salute e teneva in un angolo la cronicità. Abbiamo immaginato che il Covid ci avesse insegnato l’importanza del sistema salute ma non so se abbiamo appreso la lezione».
Tra le priorità individuate sul tema della cronicità quella di favorire l’ingresso precoce della persona con malattia cronica nel percorso diagnostico-terapeutico assistenziale individuale ed integrato; sviluppare le cure domiciliari riducendo i ricoveri ospedalieri; fare un maggiore uso di tecnologie innovative di “tecno-assistenza”; stabilizzare modelli assistenziali centrati non solo sui bisogni clinici ma anche su quelli complessivi del paziente.
«Il libro si propone di aprire un dibattito e informare i cittadini rispetto al valore che ha il Servizio sanitario nazionale. Saremo in grado di fare questo nella misura in cui riusciremo a dare valore a parole come universalità, uguaglianza di accesso, equità, e non limitarci ai soli bisogni sanitari ma anche a tutto ciò che riguarda l’ambiente, le relazioni, l’economia, il sociale e anche la formazione» spiega Provenza.
Sullo sfondo il tema delle differenze tra regioni, quell’Italia a macchia di leopardo che non risparmia nemmeno le cronicità. «Abbiamo 21 sistemi regionali differenti ma c’è la necessità di recuperare i controlli centrali sull’attività delle regioni. Alcune regioni hanno impiegato quattro anni solo per recepire il Piano nazionale delle cronicità in modo formale. A volte abbiamo norme scritte bene ma non riusciamo a metterle a sistema. Così come scopriamo che tante risorse per il Piano nazionale per il governo delle liste di attesa non sono state utilizzate nonostante il bisogno assistenziale che non sempre viene soddisfatto nei tempi appropriati».
Per Provenza cruciale anche l’avvento della telemedicina: «È uno strumento di grande importanza che può colmare molte difficoltà della sanità di oggi attraverso una serie di device integrabili che possono monitorare il paziente oltre al teleconsulto e alla teleassistenza. Ma questo non può prescindere dal recupero della dimensione clinica della professione medica, importante per recuperare un rapporto di grande qualità fondamentale tra medico e paziente. Non possiamo pensare di sostituire il rapporto medico paziente con la tecnologia. C’è il rischio, se non si creano una serie di infrastrutture, che questa tecnologia non sia solidale ma possa accrescere le diseguaglianze».