Nel mese dedicato alla prevenzione dei tumori cutanei, la storia di Monica Forchetta vuole sensibilizzare la popolazione e invitare le istituzioni a prevedere screening gratuiti e diritto all’oblio per i pazienti guariti
Monica oggi ha 39 anni ed è la presidente di APaIM (Associazione Pazienti Italia Melanoma). A vederla nessuno potrebbe mai immaginare che dieci anni fa abbia ricevuto la diagnosi di melanoma metastatico di quarto stadio. Un tumore che lascia poche speranze, invece, grazie a cure innovative e alla sua determinazione, Monica è riuscita ad uscire dal tunnel della malattia. Una vittoria della medicina e della scienza che è diventata oggetto di studio in convegni e speranza per tante persone come lei costrette a fare i conti con un cancro subdolo quanto impietoso.
È il 2013 e Monica, come molte coetanee, ama il sole e il mare tanto che nella stagione estiva non manca mai l’appuntamento quotidiano con la spiaggia del litorale laziale dove vive. Fa la commessa part time, è sposata ed ha una bambina di quattro anni. Una vita serena che un giorno viene stravolta dalla scoperta di un piccolo nevo sull’ombelico, che ha cambiato colore. È diventato scuro a tal punto da destare preoccupazione nella giovane che decide di sottoporsi ad un controllo dermatologico. «Non era la prima volta che mi sottoponevo ad uno screening – racconta – ma dalla nascita della bambina avevo concentrato tutta la mia attenzione su di lei, al punto da trascurare la mia salute». Un errore che commettono molte mamme e che per Monica poteva diventare fatale.
Quel giorno però il piccolo nevo ha catturato la sua attenzione e prima ancora di ricevere la diagnosi dallo specialista, in cuor suo sa già che qualcosa di terribile sta succedendo. «Ho ricevuto la diagnosi di melanoma metastatico nodulare quando ancora il melanoma era un tumore poco conosciuto – spiega Monica a Sanità Informazione -Tanti farmaci non c’erano, ma sono stata fortunata. Infatti, dopo due mesi dall’esportazione del cancro ho avuto l’opportunità di entrare a far parte di uno studio sperimentale. Mi sono ammalata al momento giusto, nel posto giusto».
Appena la dermatologa vede il nevo di Monica capisce che si tratta di qualcosa di grave e fissa immediatamente l’intervento per l’asportazione. «Dopo quindici giorni all’esito dell’istologico capisco che ci sono poche speranze – prosegue la donna -. Il melanoma metastatico nodulare è tra i più aggressivi e reputo quella diagnosi una sentenza di morte, ancor più quando a distanza di dieci giorni scopro due noduli all’inguine e uno al seno. Vengo sottoposta ad un secondo intervento che si chiama di ampliamento per l’asportazione di due dei tre linfonodi ingrossati. Mi lasciano quello più grande, di due centimetri e mezzo, per iniziare il trattamento con un farmaco innovativo». Una strategia terapeutica che si rivela vincente.
La salvezza di Monica passa attraverso un esame genetico, infatti la ricerca del gene BRAF che per oltre il 60 percento dei casi è mutato in chi sviluppa un melanoma metastatico, le consente di entrare in uno studio sperimentale con un farmaco biologico che è diventato il suo salvavita. «Quando l’oncologa mi ha consegnato la busta con l’esito del test genetico ho capito che c’erano ancora delle speranze ed ho iniziato a lottare con tutte le mie forze per vincere la malattia».
Il nuovo farmaco biologico non provoca vomito o caduta dei capelli, ma rush cutaneo, dissenteria, dolori e infiammazioni articolari. «È più tollerabile rispetto alla chemioterapia e soprattutto nel mio caso ha dato un effetto immediato – dice Monica -. A distanza di otto giorni dall’inizio della cura noto già una regressione del linfonodo sentinella che venti giorni dopo è di soli otto millimetri». A sei mesi dall’inizio della terapia già non c’era più traccia di metastasi, ma Monica per cinque anni tiene monitorato il melanoma con una tac ogni due mesi che conferma la regressione della malattia. «Quando ho ricevuto la diagnosi di melanoma metastatico nodulare pensavo che per me fosse tutto finito – ammette Monica – invece è iniziato un viaggio fatto di tanta paura ma anche di speranza e di tanta voglia di vivere».
Il farmaco è diventato un salvavita per Monica. Lo assume regolarmente e anche se deve fare attenzione ad esporsi al sole, oggi può permettersi una giornata al mare o una vacanza. «È considerata una malattia per anziani, invece frequentando gli ospedali mi sono resa conto che colpisce molti giovani – sottolinea la presidente di APaiM -. Oggi sono ancora fotosensibile e per evitare bruciature alla pelle quando vado al mare devo sospendere la terapia per qualche giorno. Poco importa, il melanoma mi ha tolto la spensieratezza, la leggerezza, ma mi ha fatto capire che occorre apprezzare ogni momento della vita e fare prevenzione». Un insegnamento che Monica trasferisce agli altri attraverso la sua associazione.
L’Associazione pazienti Italia melanoma nasce nel 2014, oggi conta oltre 3 mila iscritti e invita i cittadini a fare lo screening. «Purtroppo, in Italia non c’è ancora la cultura della prevenzione – sottolinea Monica che da quattro stagioni conduce un format televisivo per raccontare la malattia e invitare i cittadini allo screening –. Invece nel caso del melanoma è possibile diagnosticarlo con una visita non invasiva che può essere fatta da tutti: anziani, bambini, donne in gravidanza. Perciò è fondamentale far passare il messaggio che basta davvero poco per salvare una vita». Un messaggio che Monica porta nelle piazze, nelle scuole e nelle aziende con la preziosa collaborazione di dermatologi oncologi specialisti durante le giornate di prevenzione. «Oltre alle visite gratuite, a chi presenta una lesione sospetta vengono fatti approfondimenti e nel caso di melanoma accompagniamo il paziente durante l’intervento e il follow up».
La vittoria sulla malattia ha spinto Monica – oggi alla giuda di APaiM – a confrontarsi con le istituzioni per migliorare le condizioni dei pazienti. «Con altre associazioni abbiamo realizzato una pubblicità progresso e chiesto che venga previsto uno screening con visita dermatologica gratuita una volta l’anno per i soggetti con predisposizione e fattori di rischio più elevati. Inoltre, con AIOM, di cui faccio parte, abbiamo raccolto cento mila firme per il diritto all’oblio dei pazienti oncologici guariti. Siamo oltre un milione in Italia ed abbiamo diritto ad avere un mutuo, un’assicurazione sanitaria o ad adottare un bambino».
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