L’esposizione a lungo termine allo smog, in particolare al particolato fine, è legata a un aumento delle procedure ospedaliere nei pazienti con insufficienza cardiaca. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Plos One e condotto da Samantha Catalano dell’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, Usa. Le minuscole particelle sospese nell’aria di diametro inferiore a 2,5 μm […]
L’esposizione a lungo termine allo smog, in particolare al particolato fine, è legata a un aumento delle procedure ospedaliere nei pazienti con insufficienza cardiaca. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Plos One e condotto da Samantha Catalano dell’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, Usa. Le minuscole particelle sospese nell’aria di diametro inferiore a 2,5 μm (PM2,5) sono inquinanti atmosferici generati dal traffico, dall’attività industriale, dalla combustione e da altre fonti ancora. Sebbene l’esposizione al PM2.5 sia stata già associata all’insorgenza di malattie e morte in tutto il mondo, pochi studi hanno quantificato questo legame considerando le procedure ospedaliere. In questo studio, i ricercatori hanno analizzato l’effetto dell’esposizione a lungo termine al PM2.5 sulle procedure ospedaliere in pazienti con insufficienza cardiaca.
I ricercatori hanno esaminato le cartelle cliniche elettroniche di 20.920 pazienti con diagnosi di insufficienza cardiaca, 15.979 dei quali hanno successivamente subito almeno una delle 53 procedure comuni all’interno del sistema sanitario dal 2004 al 2016. I ricercatori hanno utilizzato l’indirizzo di ogni paziente insieme alla data della diagnosi di insufficienza cardiaca per mappare e analizzare i dati sull’esposizione ambientale allo smog insieme alle loro cartelle cliniche. Ebbene, l’analisi ha rivelato che tre procedure specifiche avevano una probabilità significativamente maggiore di essere eseguite su pazienti con una maggiore esposizione a PM2,5: stress test (aumento del 6,84% per aumento di 1 μg/m3 di PM2,5), test dell’emoglobina glicosilata, che controllano il diabete ( 10,8% di aumento) e test del tempo di protrombina, che valutano la coagulazione del sangue (15,8% di aumento). I test del tempo di protrombina sono risultati significativamente legati a questa esposizione anche dopo aver considerato l’accesso all’assistenza sanitaria e al cibo sano in base alla contea di residenza.
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Poiché tutti e tre gli esami condotti si riferiscono a test diagnostici per la salute cardiorespiratoria, gli autori ipotizzano che i loro risultati forniscano la prova che i pazienti con un’elevata esposizione a PM2.5 sperimentano una maggiore morbilità cardiovascolare, spingendo gli operatori sanitari a eseguire più test diagnostici. Le cartelle cliniche che costituiscono la base di questa ricerca non includevano dati socioeconomici a livello individuale, né dati su procedure che potrebbero essere state eseguite al di fuori del sistema sanitario. Tuttavia, questi risultati aiuteranno i futuri ricercatori a stimare meglio l’onere dell’esposizione al PM2,5 sui pazienti e sui sistemi ospedalieri. «Le associazioni tra il PM2.5 e le procedure ospedaliere possono darci una visione unica degli impatti dell’esposizione al PM2.5 sia sui pazienti che sul sistema sanitario», affermano I ricercatori. «Abbiamo osservato un aumento delle prestazioni e delle procedure diagnostiche con una maggiore esposizione al PM2,5. Questa ricerca fornisce la prova che le procedure ospedaliere possono essere una lente unica attraverso la quale visualizzare gli effetti sulla salute dell’esposizione all’inquinamento atmosferico», conclude.
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