Le infezioni da Sars-CoV-2, così come le altre malattie virali, rimangono un elemento di allerta. In Italia, infatti, si contano ancora circa 30 morti al giorno per infezioni Sars-CoV-2, molti dei quali fanno parte dei cosiddetti «pazienti fragili» (sono 1 su 5 in Italia)
Mentre l’andamento del Covid-19 ci racconta di una normalizzazione e l’Oms ha dichiarato la fine della pandemia, per alcuni le infezioni da Sars-CoV-2, così come le altre malattie virali, rimangono un elemento di allerta. In Italia, infatti, si contano ancora circa 30 morti al giorno per infezioni Sars-CoV-2, molti dei quali fanno parte dei cosiddetti «pazienti fragili» (sono 1 su 5 in Italia). Per questo AIP OdV – Associazione Immunodeficienze Primitive ha chiamato le associazioni di trapiantati, dializzati, oncologici e nefropatici, accomunati da una condizione di fragilità, ad un confronto diretto con professionisti della sanità e delle istituzioni, al tavolo dell’incontro «Fragili! Proteggere con cura.. Covid e infezioni virali, pericolo scampato?», che si è tenuto questa mattina a Roma.
I pazienti «fragili» italiani sono quelli individuati dal Piano Nazionale Vaccini anti-Covid-19 per rischio elevato di sviluppare forme gravi della malattia, a causa di un danno d’organo, una malattia rara, gravi disabilità fisiche o compromissione della risposta immunitaria (come nel caso delle persone con immunodeficienza primitiva). In questi ultimi, ad esempio, il vaccino potrebbe non esercitare la stessa efficacia. «Nonostante la vaccinazione abbia dato una importante prova di efficacia, l’avvento delle nuove varianti ha in parte eluso la protezione sia del vaccino che di infezioni naturali pregresse», ricorda Alessandro Segato, presidente di AIP che riunisce le persone con immunodeficienze primitive.
L’approccio terapeutico vede il ruolo centrale degli anticorpi monoclonali, in risposta dei bisogni insoddisfatti dei pazienti fragili, così come stabilito lo scorso dicembre nel documento di consenso «Sars-Cov-2: diagnosi precoce e migliore accesso alle cure per i pazienti fragili» redatto e sottoscritto da SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali), SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie), SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera) e Cittadinanzattiva. Fortunatamente vi sono anticorpi monoclonali che hanno resistito al mutare delle varianti. Alcuni, in particolare, hanno mostrato una capacità di contenere il rischio ospedalizzazione. Gli anticorpi monoclonali sono un ostacolo alla progressione della malattia in forme gravi: la terapia precoce, infatti, blocca l’ingresso del virus nella cellula ospite. Devono essere somministrati entro 3-5 giorni dall’esordio dei sintomi. Nel frattempo, si sta studiando un impiego sotto forma di profilassi pre-esposizione per soggetti con una risposta immunitaria inadeguata e in soggetti in cui la vaccinazione è controindicata.
Mentre si assiste ad un elevato numero di nuove infezioni, non c’è un aumento di ospedalizzazione nella popolazione generale. I casi gravi e l’aumentato rischio di morte sono appannaggio di soggetti anziani, cronici o fragili. Il quadro di variabilità del virus ha comportato anche la perdita di efficacia di alcuni anticorpi monoclonali e la riduzione di alcuni antivirali. «I soggetti immuno-compromessi sono una popolazione speciale che nell’incontro con il virus presentano delle peculiarità negative: la fase viremica appare prolungata con infezioni della durata di diversi mesi, alto numero di recidive, forme gravi e resistenti ai trattamenti disponibili e outcome meno favorevoli», spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico della SIMIT. «L’obiettivo è quello di bloccare l’ingresso del virus prima che riesca ad entrare nella cellula ospite. Inoltre, i monoclonali sono una opzione concreta nei soggetti fragili in politerapia o che non possono assumenti anti-virali, grazie all’assenza di interazioni farmacologiche», conclude.
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