A Sanità Informazione Alessandro Mannucci specializzando in gastroenterologia ed endoscopia digestiva presso l’IRCCS San Raffaele di Milano e autore dello studio sulla genetica in oncologia vincitore del premio Marzia Galli Kienle
Oggi vive a Los Angeles ma tornerà presto in Italia, per completare la sua formazione. Alessandro Mannucci, classe 1994, specializzando in gastroenterologia ed endoscopia presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano si è messo in luce per uno studio sulla genetica in oncologia. Grazie al quale si è aggiudicato il prestigioso premio Marzia Galli Kienle. Un riconoscimento in memoria della professoressa Marzia Galli Kienle, preside del corso di laurea in medicina e chirurgia all’Università Milano Bicocca e presidente dell’associazione S.O.S Onlus (solidarietà in oncologia San Pietro e San Marco). Il premio, istituito nel 2015 per sostenere la ricerca scientifica in oncologica, ha un valore di 26 mila euro ed è destinato a medici e specializzandi under 35.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Alessandro, anconetano di nascita, ma milanese d’adozione dall’altra parte dell’Oceano. Oggi infatti si trova a Los Angeles, dove prosegue la sua ricerca nel laboratorio di diagnostica molecolare di City of Hope, CA. «La genetica è una materia appassionante – dice Alessandro vincitore anche del premio Tom Weber dalla società scientifica americana CGA-IGC –, ci porta nel futuro». Un argomento che il ragazzo racconta con grande padronanza: «Il punto fondamentale su cui ci siamo concentrati è come migliorare l’identificazione dei pazienti con malattie ereditarie che aumentano il rischio di sviluppare un tumore».
Ognuno di noi ha un rischio legato ad uno stile di vita non corretto. Tuttavia, alcune persone hanno malattie genetiche che ne aumentano notevolmente il rischio, senza esserne consapevoli. Si tratta di un problema genetico, come la sindrome di Lynch, che può causare il tumore al colon o all’endometrio e che interessa una persona ogni 270. «Molte di queste malattie sono congenite, quindi presenti dalla nascita, ma completamente asintomatiche di per sé. I pazienti spesso non ne hanno consapevolezza finché non si sviluppa un tumore – fa notare Mannucci-, spesso sono giovani, anche di 20 o 30 anni».
L’elemento su cui Alessandro si è concentrato è come riuscire a identificare questa malattia in modo tempestivo, per prevenire il cancro. «Dato il numero alto di pazienti con malattia neoplastica e la percentuale, tutto sommato relativamente contenuta, invece, di quanti hanno sviluppato un tumore a causa di una malattia ereditaria – racconta – , abbiamo cercato di capire come fare prevenzione. In modo da arrivare ad una diagnosi precoce del tumore, in particolare del colon e dell’endometrio. È importante perché in queste persone, dopo il primo tumore, possono svilupparsene altri nel corso della vita, anche in organi diversi».
Oggi per conoscere se c’è una malattia genetica si fa il cosiddetto “test universale del tumore”, che però può identificare esclusivamente la sindrome di Lynch. «Conoscere se c’è una malattia genetica in una famiglia è fondamentale. Con questa informazione possiamo prevenire i tumori che potrebbero svilupparsi successivamente. Possiamo fare sorveglianza in modo tale da identificarli nello stadio più precoce possibile e garantire la miglior sopravvivenza», puntualizza il ricercatore. Un tempo si faceva un test genetico mirato sulla singola sindrome, mentre oggi ci sono a disposizione i pannelli genetici. «Con un solo prelievo di sangue è possibile testare a tappeto una serie di geni che causano differenti sindromi ereditarie e aumentano il rischio di sviluppare tumori – sottolinea -. I pannelli in media testano una trentina di geni per altrettante sindromi, ma alcuni arrivano anche a sessanta o oltre».
Il primo obiettivo dello studio di Mannucci è stato proprio di sviluppare una strategia tale da riconoscere più malattie genetiche possibili. «Siamo partiti dal test standard, ovvero il test sul tumore che si fa con la instabilità dei microsatelliti (MSI) o immunoistochimica (IHC). L’abbiamo messo a confronto con un’altra strategia che si chiama PREMM5. Un algoritmo, disponibile on line, dove si inseriscono i propri dati personali e familiari. Se supera la percentuale del 2,5, si ha un rischio significativamente alto di avere la sindrome di Lynch».
Lo studio di Alessandro Mannucci è andato anche oltre. Ha pensato di utilizzare il PREMM5 non solo per testare la sindrome di Lynch ma un pannello multi-gene. «Abbiamo validato i nostri risultati in due coorti separate e indipendenti – evidenzia il ricercatore -. La prima formata da un migliaio di pazienti con tumori del colon-retto già diagnosticato, dove è emerso un vantaggio del PREMM5 rispetto al test su tumore. La seconda coorte era meno omogenea: vi rientravano pazienti con tumore del colon retto, altre con tumore dell’endometrio e un terzo gruppo senza neoplasie, arruolate per adesione volontaria. Anche in questa seconda coorte i dati hanno dimostrato che PREMM5 ha una sensibilità superiore al test su tumore nell’identificare le sindromi ereditarie».
Per effettuare un’indagine genetica è bene rivolgersi ad un centro specializzato che si prende a carico il paziente oncologico e tutta la sua famiglia. «Quasi sempre si tratta di malattie autosomiche dominanti – aggiunge Mannucci -, ovvero la probabilità di trasmetterle a familiari di primo grado, inclusi i figli, è del 50%. Identificare una sindrome ereditaria ha quindi implicazioni sia per il paziente che, a cascata, per tutti i rami della famiglia. Identificarne una precocemente fornisce la strada per capire quali individui hanno ereditato quella malattia».
Gastro Per Me è il centro di eccellenza dell’Ospedale San Raffaele di Milano dove fare la diagnosi genetica. Diretto dalla Professoressa Giulia Martina Cavestro, il centro accoglie due tipi di pazienti: malato oncologico e pazienti con sindrome genetica ereditaria. Nel primo caso i pazienti con neoplasia che scoprono di avere anche una sindrome ereditaria vengono sottoposti a nuove terapie. «Possiamo scegliere strategie terapeutiche migliori – spiega Mannucci -. O effettuare delle scelte chirurgiche differenti e personalizzate sul paziente». Per i soggetti che invece non hanno sviluppato il tumore, ma hanno una sindrome genetica ereditaria, si può fare sorveglianza con molte possibili valutazioni (ad esempio endoscopiche, radiologiche, urologiche o ginecologiche, a seconda della sindrome presente) per prevenire i tumori o diagnosticarli in fase molto iniziale ed avere una chance maggiore di cura. «Non solo, ci sono oggi farmaci che ci permettono di ridurre l’insorgenza dei tumori, sempre che la diagnosi genetica sia stata fatta per tempo». Quindi per i pazienti fare la diagnosi genetica può rappresentare la possibilità di salvare sé stessi e di prevenire alcuni tumori in altri familiari. «È importante far capire al paziente che avere una diagnosi genetica positiva a qualche sindrome ereditaria non vuol dire necessariamente ammalarsi – conclude Mannucci -. Ecco perché è fondamentale un corretto approccio con medici competenti, talvolta anche con il supporto degli psicologi, sono in grado di avere».
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