Nel 2012 Chiara Corbella morì rinunciando a curarsi per dare alla luce Francesco. Domenica Lorusso, docente ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Humanitas University di Milano spiega a Sanità Informazione le alternative di cura che abbiamo oggi
«Rimango sempre affascinata da queste storie di estrema generosità, ma non posso dirmi sorpresa». E’ in questo modo che Domenica Lorusso, docente ordinario professoressa di Ginecologia e Ostetricia dell’Humanitas University di Milano, nonché ricercatrice di punta della Fondazione AIRC, commenta a Sanità Informazione la tragica storia di Chiara Corbella, la giovane mamma romana che nel 2012, a soli 28 anni, ha scelto di sacrificare la sua vita per far nasce il proprio bambino. La donna è morta il 13 giugno di 11 anni fa e, mentre è in corso il processo di beatificazione, la città di Roma ha deciso di intitolarle una strada, una piazza e un giardino. La stessa presidente del Consiglio dei Ministri e leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha nominato Chiara Corbella nel discorso d’insediamento, come tra le sedici grandi donne che l’hanno ispirata.
Chiara Corbella è considerata un grande esempio di coraggio. La sua storia ha fatto commuovere il mondo intero: dopo due gravidanze andate male, alla terza sembrava procedere tutto bene fino quando non è arrivata la terribile diagnosi. Al quinto mese di gravidanza i medici hanno diagnosticato alla giovane donna un carcinoma alla lingua. Nonostante questo Chiara ha voluto proseguire la gravidanza rimandando le terapie necessarie. Solo dopo la nascita del suo prezioso figlio, Franscesco, la donna si è poi sottoposta a un intervento chirurgico più radicale e poi a successivi cicli di chemioterapie e radioterapia. Ma aveva già «perso» molto tempo e alla fine ce l’ha fatta.
«Sono una ginecologa e curo da sempre le donne che si ammalano di tumore», racconta Lorusso. «E nelle donne, sia quando si ammalano e sia quando sono caregiver, vedo sempre la generosità e il desiderio di dare la vita. La donna per vocazione – continua – dona la vita e continua a farlo fine alla fine». Tuttavia, l’esperta invita a non generalizzare. «Vale la pena ricordare che non sempre le scelte devono essere così estreme: oggi, in centri selezionati e in alcuni tipi di tumore, abbiamo la possibilità di curare insieme la mamma e il bambino, garantendo alla prima la cura e al secondo la nascita. Questo – conclude – è stato un gesto estremo, probabilmente l’unica scelta che la donna ha avuto, ma vale la pena ricordare che non è sempre così».
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