Un uomo ogni 660 ne è affetto, Antonella Esposito, psicologa e psicoterapeuta a Sanità Informazione «Dal 2017 è considerata malattia cronica invalidante, ma manca il sostegno psicologico del SSN»
Comunicare alla famiglia e a un paziente la presenza di una malattia genetica rara è un momento molto delicato, per questo deve essere affidato alla capacità di uno psicoterapeuta, tanto più se i pazienti sono giovani e vedono il futuro offuscato dalla malattia. È il caso della sindrome di Klinefelter, condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma sessuale X extra che interessa esclusivamente i maschi.
La presenza di un cromosoma in più (XXY, anziché XY) compromette lo sviluppo dei testicoli e la produzione di testosterone ed è responsabile di altre problematiche che caratterizzano le persone che ne sono colpite: pubertà incompleta, riduzione della massa muscolare, talvolta micropene e ginecomastia. Un quadro clinico che è molto difficile da comunicare e da far digerire in particolare ai giovani pazienti e alle loro famiglie.
Fondamentale, dunque, è il supporto psicologico, come conferma Antonella Esposito, specialista in psicoterapia post razionalista fondatrice del Centro Accreditato DSA Thélema – Psicoterapia e Riabilitazione. «Sono psicoterapeuta specializzata in psicoterapia cognitivo comportamentale, ho toccato con mano le difficoltà che tutte le famiglie versano al primo contatto con la condizione genetica e dunque comprendo appieno il disagio di genitori e pazienti. Per questo ho voluto fondare un Centro esperto, fra le altre cose, in sindromi genetiche, malattie rare e disabilità ed essere un punto di riferimento nel lungo cammino dell’accettazione e della convivenza con la malattia».
A differenza di quanto si credeva in passato, la sindrome di Klinefelter non riguarda solo una piccola nicchia di persone, ma secondo le stime ufficiali un uomo ogni 660 ne è affetto. Un dato che impone una riflessione e soprattutto un’attenzione verso la patologia, ancora oggi troppo trascurata. «La fase immediatamente successiva alla comunicazione da parte dello staff medico ai genitori del bambino con Klinefelter, è molto importante – evidenzia la specialista -. Infatti, mentre in passato si tendeva a tenere nascosto anche al paziente la sua condizione il più a lungo possibile, oggi la pratica clinica dice che prima si danno indicazioni precise, prima inizia ad avere dimestichezza con la realtà e con la condizione con cui farà i conti per tutta la vita e prima svilupperà un senso di sé sintonico e capace di elaborare strategie adattive e alternative».
Dal 2017 il Governo italiano ha incluso la sindrome di Klinefelter tra le patologie croniche invalidanti per le quali è possibile richiedere l’esenzione per farmaci e visite mediche, ma ancora non è prevista una presa in carico da un punto di vista psicologico del paziente o un supporto per la famiglia.
A denunciare questa mancanza è la stessa dottoressa Esposito che spiega di aver attivato delle convenzioni con il gruppo Svitati 47 e con l’associazione Nascere Klinefelter ODV per la presa in carico dei giovani pazienti e dei loro genitori. «Per anni ho cercato di andare incontro alle famiglie, aggirando anche le leggi di mercato, perché mi rendo conto che questo passaggio è essenziale per una vita serena dei pazienti – fa notare -. Speriamo che in futuro vengano erogati nuovi fondi per il sostegno psicologico di chi è affetto da Klinefelter perché oggi ancora mancano strutture, psicologi, medici e risorse pubbliche».
Il giusto approccio alla malattia è dunque essenziale e in questo l’avvento del digitale rappresenta un aiuto. «Abbiamo abbattute delle barriere – rimarca Esposito -. Tante famiglie grazie ad internet mi raggiungono e trovano un’ancora di salvezza a quella sensazione di smarrimento che li assale nel momento in cui apprendono la diagnosi. A quel punto inizia un percorso di consapevolezza e di accettazione attraverso il quale i genitori raccontano l’effetto che la malattia ha su mente e cuore e come vedono il figlio in futuro. Tutto questo per riformulare insieme una narrazione condivisa».
In media il percorso psicologico previsto dal Sistema Sanitario Nazionale è di un numero esiguo di sedute per la troppa domanda e la poca sostenibilità. «Le ore previste sono insufficienti – conclude la psicoterapeuta -. Un percorso ideale prevede un accompagnamento che consenta di raccontare la sindrome, trovare un linguaggio giusto per il paziente con Klinefelter ma anche come spiegare a fratelli e famigliari di cosa si tratta. L’optimum è che la famiglia venga presa in carico subito e poi venga seguita anche nelle tappe più importanti del ragazzo, a cominciare dall’ingresso a scuola, fino all’adolescenza senza trascurare l’età adulta con tutte le complicazioni psicologiche annesse come il comunicare al partner la propria condizione genetica e la propria infertilità per esempio».
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