In caso di attacco cardiaco gli anziani dovrebbero ricevere lo stesso trattamento dei giovani. Lo dimostra uno studio coordinato da scienziati italiani e pubblicato sul The New England Journal of Medicine
In caso di attacco cardiaco gli anziani dovrebbero ricevere lo stesso trattamento dei giovani. Sono sorprendenti i risultati dello studio FIRE- FunctIonal assessment in Elderly MI patients («Rivascolarizzazione guidata dalla fisiologia coronarica in pazienti anziani con infarto»), promosso dall’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale di Cona (Fe), diretta da Gabriele Guardigli. I risultati, presentati in occasione del congresso annuale della Scoetà europea di cardiologia, che si è tenuto ad Amsterdam, e pubblicati sulla rivista The New England Journal of Medicine, sono destinati a rivoluzionare l’approccio terapeutico nei confronti dell’infarto miocardico nelle persone anziane.
La Cardiologia dell’ospedale di Cona ha ideato e condotto uno studio clinico randomizzato per colmare un «buco di informazione clinica». Sono stati arruolati 1.445 pazienti con almeno 75 anni di età, ricoverati per infarto miocardico acuto e malattia coronarica multivasale, ovvero una lesione che era responsabile dell’evento acuto e altre lesioni già presenti ma che ancora non avevano dato segno di sé. Lo studio è durato complessivamente 5 anni e ha interessato 30 centri tra Italia, Spagna e Polonia. Sebbene si osservi un costante e graduale invecchiamento della popolazione e sempre più persone anziane sono ricoverate in ospedale con patologie potenzialmente fatali – come l’infarto miocardico acuto – gli studi focalizzati sui pazienti anziani e sul loro trattamento ottimale sono pochi.
Quindi, nella pratica clinica quotidiana i medici spesso si trovavano a curare pazienti anziani e fragili con informazioni ricavate da studi che avevano arruolato pazienti con 20 anni di meno. Non fa eccezione il trattamento ottimale dei pazienti con infarto miocardico acuto. Mentre è dimostrato che trattare con angioplastica coronarica tutte le lesioni presenti nelle coronarie (i 3 piccoli vasi che portano il sangue e quindi ossigeno e nutrimento al cuore) del paziente più giovane (età media 60-65 anni) con infarto miocardico è associato a una prognosi migliore, non era noto se lo stesso approccio fosse utile in pazienti più anziani. I pazienti anziani sono più soggetti a complicanze sia durante l’intervento di angioplastica, sia durante la terapia farmacologica che è necessaria dopo l’impianto di stent. Quindi non si avevano dati certi che un trattamento estensivo, e non limitato solo alla lesione responsabile dell’infarto, fosse vantaggioso e protettivo come per i pazienti più giovani.
Lo studio ha dunque confrontato due strategie. La prima era trattare con l’angioplastica solo la lesione responsabile dell’infarto, mentre la seconda prevedeva di trattare la lesione responsabile dell’infarto e preventivamente anche tutte le altre lesioni in grado di generare ischemia, ovvero sofferenza, nel cuore. I dati emersi dalla ricerca sono stati tutti a favore di una strategia di rivascolarizzazione completa preventiva. L’obiettivo primario dello studio (morte, reinfarto, stroke e necessità di ulteriore angioplastica) è stato ridotto del 27%. Questo significa che trattando 19 pazienti si riesce ad evitare uno di questi eventi. Inoltre, la strategia di rivascolarizzazione completa ha ridotto del 36% il rischio di morte per causa cardiovascolare e reinfarto. Tutto questo vantaggio era ottenuto senza aumentare il rischio di infarto durante le procedure, insufficienza renale da mezzo di contrasto o altre complicanze quali l’ictus.
«Lo studio – riassume Simone Biscaglia della Cardiologia dell’Ospedale S. Anna di Ferrara – ha richiesto tra ideazione, autorizzazione, attivazione centri, arruolamento pazienti e follow-up oltre 5 anni di lavoro. Abbiamo collaborato con oltre 30 centri tra Italia, Spagna e Polonia, il tutto coordinato proprio da Ferrara. Lo studio ha dimostrato, dato inatteso da molti colleghi che sono rimasti sorpresi all’anteprima dei dati forniti ad Amsterdam, che una strategia di rivascolarizzazione completa è vantaggiosa anche in pazienti anziani. Addirittura, abbiamo dimostrato che è in grado di ridurre già a un anno il rischio non solo di recidiva di infarto miocardico, ma anche di morte per cause cardiovascolari. Questo dato è sorprendente. Infatti, i pazienti anziani colpiti da infarto miocardico purtroppo hanno ancora un rischio di mortalità alto a 1 anno dall’infarto, ma una angioplastica coronarica eseguita con tecniche moderne, stent di ultima generazione e su tutte le lesioni che possono indurre ischemia al cuore è capace di ridurre la mortalità e il rischio di recidive».
«Uno studio del genere è una grande vittoria per il sistema sanitario pubblico», commenta Gianluca Campo, responsabile dello studio clinico insieme a Biscaglia. «Lo studio – conclude Guardigli – non promuove uno stent o un farmaco, ma si occupa di pazienti che spesso sono trattati con dubbi e difficoltà nelle cardiologie di tutto il mondo. Lo studio fin dal principio è stato condotto per dare una risposta che aiuti i pazienti più deboli e permetta loro di ricevere il trattamento più giusto e corretto. Ora i medici di tutto il mondo sanno che ogni 22 pazienti che trattano uno avrà la vita salvata proprio grazie alla strategia che abbiamo studiato nel FIRE».
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