La scarsa remunerazione riconosciuta agli infermieri unitamente alla mancanza di una valorizzazione della carriera professionale sono i principali ostacoli che allontanano i giovani ma è indubbio che anche il crescente fenomeno delle aggressioni stia giocando un ruolo preponderante nel rendere il lavoro dell’Infermiere una professione poco attrattiva verso i giovani.
Non passa giorno, oramai, senza che i media ci socializzino aberranti episodi di violenza comprese le aggressioni a danno degli infermieri. Con il decreto-legge 30 marzo 2023, n. 34 e la successiva legge di conversione 26 maggio 2023, n. 56 “Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali” all’art 16 vengono previste inasprimenti della pena fino a 10 anni di reclusione con un reato punibile d’ufficio e si prevede anche la possibilità di costituire posti fissi della Polizia di Stato all’interno delle Aziende sanitarie.
Altra emergenza di cui si parla in questi giorni è la notizia di una ipotizzabile riduzione del numero di giovani che si sono iscritti ai corsi di laurea per Infermiere e tutti abbiamo il diritto/dovere di chiederci il perché di questo fenomeno ma soprattutto porci la domanda: quale relazione tra queste due condizioni?
La relazione non solo esiste ma è corroborata da numerosi studi di ricerca l’ultimo dei quali condotto in Italia su input della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), dal titolo “CEASE-IT: violenCE AgainSt nursEs In The workplace: a multicenter, descriptive analytic observational study” e svolta da otto Università da Nord a Sud Italia, tra dicembre 2020 e aprile 2021. I risultati parlano chiaro perché su un campione selezionato e statisticamente rappresentativo di 5.472 infermieri di tutte le aree operative della professione il 32,3% degli infermieri (quasi 130mila) dichiara di aver subito un episodio di violenza verbale e/o fisica nell’ultima settimana e/o negli ultimi 12 mesi. La maggior parte di loro lavora in area medica 28,4%, ma anche l’area di emergenza e terapia intensiva non è da meno (27,3%) mentre sul territorio la percentuale “scende” al 10,9 per cento.
L’eccessiva violenza ai danni degli infermieri determina inevitabilmente una progressiva perdita di soddisfazione lavorativa e di motivazione al punto che ulteriori studi in materia riportano come il 26% dei lavoratori coinvolti considerano la possibilità di lasciare il lavoro in ospedale (Rafeea et al., 2017; Sachdeva et al., 2019) anche per i danni fisici e psicologici che si vengono a determinare quali stress psicologico, qualità del sonno, senso di ansia, rabbia, paura e depressione (Abbot e Brinkmann, 2017; Pompeii et al., 2020; Palma et al., 2018).
La scarsa remunerazione riconosciuta agli infermieri unitamente alla mancanza di una valorizzazione della carriera professionale sono i principali ostacoli che allontanano i giovani ma è indubbio che anche il crescente fenomeno delle aggressioni stia giocando un ruolo preponderante nel rendere il lavoro dell’Infermiere una professione poco attrattiva verso i giovani. In concreto il fenomeno della violenza a danno degli Infermieri determina un danno economico al Paese nella duplice veste di una ridotta disponibilità di cure infermieristiche per l’assenza dal lavoro degli infermieri e dall’altra per il danno economico vero e proprio alle Aziende che non possono disporre di tutti i loro professionisti compreso il rischio della cosiddetta “Great Resignation”.
Occorre pertanto intervenire con sempre maggiore determinazione nell’affrontare gli episodi di violenza agli Infermieri attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla normativa vigente senza indugi sia per la tutela dei professionisti ma anche per garantire ai cittadini il diritto alle cure necessarie e per restituire ai giovani la vera immagine della professione infermieristica. Ogni episodio di violenza in ordine determina:
La violenza sugli operatori ha anche un costo economico. Sempre lo studio CEASE-IT ha rilevato complessivamente come il 4.3% degli infermieri riferisce assenza dal lavoro a causa di episodi di violenza subita nel luogo di lavoro e sulla base di tale dato sono stati definiti i costi sostenuti dal SSN e i costi a carico della società, inclusa la mancata produttività: se consideriamo in media un’assenza di sette giorni a seguito di una violenza e moltiplichiamo per i dati di prevalenza di violenza sulla popolazione infermieristica italiana si viene a determinare un costo pari a oltre 34 milioni di euro/anno.
In conclusione, se vogliamo garantire ai cittadini cure e assistenza appropriata e ai giovani rilanciare una figura dell’Infermiere a suo agio nella relazione assistenziale dobbiamo tutelare e salvaguardare la professione dell’Infermiere anche attraverso la tutela sui posti di lavoro e affrontare il problema della sicurezza con un approccio sistematico che coinvolga diversi livelli:
In ultimo, occorre rafforzare il monitoraggio degli eventi in sinergia tra tutti gli attori coinvolti (Ministero della Salute, Ordini professionali, INAIL, etc…) allo scopo di diffondere maggiormente tra gli infermieri la cultura della segnalazione, a prescindere dalla gravità dell’evento in sé, riducendo, di conseguenza, il fenomeno della sottostima degli eventi (“tolleranza zero”), e, in secondo luogo, analizzare i dati nell’ottica di implementare misure reattive e di prevenzione commisurate alle diverse caratteristiche degli operatori coinvolti.