A fare il punto sui linfomi è Umberto Vitolo, responsabile Studi Clinici Ematologici presso l’Istituto di Candiolo – Fondazione del Piemonte per l’Oncologia IRCCS e uno dei soli tre specialisti italiani presenti nella top 50 di Expertscape dei migliori al mondo per gli studi sul linfoma negli ultimi 10 anni
«Grazie alla ricerca, negli ultimi anni, abbiamo compiuto progressi significativi nel trattamento del linfoma che oggi è una malattia sempre più curabile. Il nostro obiettivo è ora, non solo curare la malattia, ma il paziente». A parlare a Sanità Informazione è Umberto Vitolo, responsabile Studi Clinici Ematologici presso l’Istituto di Candiolo – Fondazione del Piemonte per l’Oncologia IRCCS e uno dei soli tre specialisti italiani presenti nella top 50 dei migliori al mondo per gli studi sul linfoma negli ultimi 10 anni. Vitolo, infatti, è al 47esimo nella piattaforma Expertscape, sviluppata dall’Università del North Carolina, che seleziona, verifica e certifica, confrontando tutte le principali pubblicazioni scientifiche a livello internazionale, i migliori scienziati e medici mondiali per settore di competenza.
«Sì. Ma questo riconoscimento è anche rivolto ai numerosi professionisti che lavorano presso l’Istituto di Candiolo – Fondazione del Piemonte per l’oncologia IRCCS».
«I linfomi sono tumori che colpiscono il tessuto linfatico, la cui incidenza è in aumento negli ultimi anni. Non a caso al momento rappresentano il quinto o sesto tumore più frequente, dopo il cancro al seno, al colon, al polmone, alla prostata e alla vescica. L’aumento dell’incidenza è iniziato poco dopo gli anni 2000. Prima di allora infatti il linfoma veniva considerato una malattia rara. Oggi non lo è più».
«Le cause non sono chiarissime. Ma si ritiene che a giocare un ruolo importante sia la continua stimolazione del sistema immunitario da parte di virus. Questo eccesso di stimolazione potrebbe portare il nostro sistema immunitario a deragliare generando così un linfoma».
«Il linfoma è una malattia complessa che si manifesta in modo disseminato, cioè può colpire il sistema linfatico in più punti. Ci sono tantissimi tipi di linfomi. C’è il linfoma di Hodgkin più comune nei giovani, dai 20 ai 35 anni d’età, che è anche il meno frequente. Poi c’è la grossa categoria dei linfomi non Hodgkin, nell’ambito dei quali possiamo distinguere forme più indolenti e forme più aggressive. In ogni caso le probabilità di guarigione sono oggi molto buone. Ad esempio le probabilità di guarigione dal linfoma di Hodgkin sono superiore all’85-90%. Nei linfomi aggressivi, come quello diffuso a grandi cellule, la percentuale di guarigione scende intorno al 70%, mentre nei linfomi mantellari parliamo di probabilità di guarigione inferiori al 50%. Ci sono poi forme rare, come il linfoma a cellule T, che è un po’ la ‘Cenerentola’, in cui le probabilità di guarigione non superano il 30%».
«Fino a un po’ di anni fa avevamo solo la chemioterapia che ha comunque sempre dato buoni risultati. Tuttavia, la chemio si porta dietro sia effetti collaterali immediati, come nausea, vomito, tossicità a reni e fegato, che più a lungo termine. Sappiamo che la chemioterapia può infatti indurre la formazione di secondi tumori e danni cardiaci duraturi anche a distanza di anni, senza parlare dell’impatto che questi trattamenti possono avere sulla vita dei pazienti, specialmente quelli più giovani. Uno su tutti è l’infertilità. Per questo oggi il nostro obiettivo è quello di curare la malattia, ma anche di restituire ai pazienti una vita normale. Dopo gli anni 2000 è stato introdotto un anticorpo monoclonale diretto contro le cellule del linfoma che ha migliorato la sopravvivenza dei pazienti e l’efficacia della chemio».
«Nel tempo sono stati sviluppati anticorpi monoclonali ancora più efficaci. Mi riferisco ad esempio agli anticorpi coniugati: il farmaco mira a un bersaglio sulla cellula linfomatosa, veicolando e rilasciando su quello stesso bersaglio una tossina. Oggi, invece, stiamo lavorando a una nuova categoria di anticorpi monoclonali più interessante. Si tratta dei cosiddetti anticorpi monoclonali bispecifici che, da un lato si attaccano alle cellule del linfoma, riconoscendo una ‘bandierina’ sulla sua superficie, e poi contemporaneamente lega il linfocita T normale che, in questo modo, va ad aggredire la cellula del linfoma. Si tratta di una strada molto intelligente per riattivare il sistema immunitario e renderlo di nuovo capace di eliminare la cellula linfomatosa. Soprattutto su questo a Candiolo stiamo sviluppando le nostre ricerche perché sono anticorpi molto efficaci contro il linfoma, con pochi effetti collaterali e che possono essere usati in varie combinazioni. C’è inoltre la terapia con cellule CAR-T, più sofisticara e complessa, in cui si prelevano i linfociti del paziente, si ingegnerizzano e poi si reinfondono nel paziente per generare una reazione contro il tumore. Posso dire che oggi la terapia ha sempre come obiettivo quello di sconfiggere la malattia, ma anche quello di garantire ai pazienti la miglior vita possibile».
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