Il problema dei «superbatteri», più aggressivi e spesso resistenti agli antibiotici, non riguarda solo gli ospedali. Nuovi ceppi ipervirulenti del Klebsiella pneumoniae sono infatti emersi in persone sane in contesti comunitari. Per questo un gruppo di ricerca del National Institutes of Health of Allergy and Infectious Diseases dell’NIH ha condotto uno studio per comprendere come il sistema immunitario umano si difende dalle infezioni
Il problema dei «superbatteri», più aggressivi e spesso resistenti agli antibiotici, non riguarda solo gli ospedali. Nuovi ceppi ipervirulenti del Klebsiella pneumoniae sono infatti emersi in persone sane in contesti comunitari. Per questo un gruppo di ricerca del National Institutes of Health of Allergy and Infectious Diseases dell’NIH ha condotto uno studio per comprendere come il sistema immunitario umano si difende dalle infezioni. Gli scienziati hanno scoperto, come riportato su mBio, che alcuni ceppi hanno maggiori probabilità di sopravvivere nel sangue e nel siero rispetto ad altri e che i neutrofili, un tipo di globuli bianchi, hanno maggiori probabilità di ingerire e uccidere alcuni ceppi rispetto ad altri.
«Questo importante studio è tra i primi ad analizzare l’interazione di questi ceppi emergenti di Klebsiella pneumoniae con i componenti della difesa dell’ospite umano», spiega Hugh Auchincloss, direttore ad interim del NIAID. Più di un secolo fa, gli scienziati hanno identificato K. pneumoniae come causa di infezioni umane gravi, spesso fatali, soprattutto in persone già malate o con un sistema immunitario indebolito e in persone ricoverate in ospedale. Nell’arco di molti decenni, alcuni ceppi hanno sviluppato una resistenza a diversi antibiotici, diventando difficili da trattare. Questo batterio, chiamato Klebsiella pneumoniae classica, è il terzo patogeno più comune isolato nelle infezioni ospedaliere del flusso sanguigno.
Alcuni altri ceppi di Klebsiella pneumoniae causano infezioni gravi in persone sane in ambienti comunitari, anche se non sono multiresistenti ai farmaci. Sono noti come Klebsiella pneumoniae ipervirulenta, o hvKp. Più recentemente, sono emersi in entrambi i contesti ceppi con caratteristiche sia di resistenza ai farmaci che di ipervirulenza, i cosiddetti MDR hvKp. Gli scienziati del NIAID avevano già esaminato questo fenomeno generale. All’inizio degli anni 2000 hanno osservato e studiato attivamente ceppi virulenti di Staphylococcus aureus meticillino-resistente che erano emersi in ambienti comunitari statunitensi e avevano causato infezioni diffuse in persone altrimenti sane.
Ora, lo stesso gruppo di ricerca del NIAID presso i Rocky Mountain Laboratories di Hamilton, nel Montana, ha cercato di rispondere a domande simili sui nuovi ceppi di Klebsiella; come, ad esempio, se i microbi possono eludere le difese del sistema immunitario umano. I risultati sono stati inaspettati: i ceppi hvKp avevano maggiori probabilità di sopravvivere nel sangue e nel siero rispetto ai ceppi hvKp MDR. Inoltre, i neutrofili hanno «ingerito» meno del 5% dei ceppi hvKp, ma più del 67% dei ceppi hvKp MDR, la maggior parte dei quali è stata uccisa. I ricercatori hanno anche sviluppato un vaccino specificamente progettato per aiutare i neutrofili a «ingerire» e uccidere due ceppi hvKp e due ceppi hvKp MDR selezionati. Il vaccino ha funzionato, anche se non in modo uniforme nei ceppi hvKp.
Questi risultati suggeriscono che un approccio vaccinale per la prevenzione e il trattamento delle infezioni è fattibile. Sulla base degli esiti della ricerca, gli scienziati ritengono che la potenziale gravità dell’infezione causata da MDR hvKp si collochi probabilmente tra la forma classica e quella ipervirulenta. Il lavoro suggerisce anche che la classificazione ampiamente utilizzata di K. pneumoniae in cKp o hvKp dovrebbe essere riconsiderata. I ricercatori stanno anche esplorando il motivo per cui le MDR hvKp sono più sensibili alle difese immunitarie umane rispetto alle hvKp. Come passo successivo, la squadra di ricerca determinerà i fattori coinvolti nella suscettibilità di MDR hvKp alle difese immunitarie dell’organismo, in modelli di infezione di topi. In definitiva, queste conoscenze potrebbero indicare nuove strategie di trattamento per prevenire o ridurre la gravità della malattia.
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