Dal 2016 ad oggi sono 45 i bambini trattati con questo farmaco di terapia genica e stanno tutti bene. È la prima volta, a livello mondiale, che un’organizzazione non profit si farà carico della produzione e distribuzione di un farmaco per una malattia rara
La terapia genica per i bambini bolla la produrrà Telethon. Questa rarissima malattia, chiamata ADA-SCID, colpisce ogni anno circa 15 persone in Europa ed è nota come la malattia dei “bambini bolla”, perché costringe chi ne è affetto a vivere in un ambiente assolutamente sterile e isolato per evitare il contatto con qualsiasi patogeno. La notizia è senza precedenti: è la prima volta, a livello mondiale, che un’organizzazione non profit si farà carico della produzione e distribuzione di un farmaco per una malattia rara, offrendo un sostegno concreto al bisogno di pazienti a cui il mercato fatica a dare risposta. La Commissione europea, infatti, ha concesso il trasferimento a Telethon dell’autorizzazione all’immissione in commercio della terapia genica per l’immunodeficienza ADA-SCID, la malattia dei “bambini bolla”.
Ad oggi sono 45 i bambini trattati con questo farmaco di terapia genica e stanno tutti bene. «La prima persona a ricevere questa terapia genica è stata una bambina palestinese segnalata da un medico israeliano con un intervento pionieristico svolto a Gerusalemme», ricorda Francesca Pasinelli, direttore generale di Fondazione Telethon. «Siamo consapevoli dell’eccezionalità di questo sforzo, ma per noi ogni singola vita conta, e non possiamo permettere che i bimbi affetti da ADA-SCID vengano lasciati soli, senza questa opzione terapeutica. Per questo abbiamo deciso di affrontare questa grande nuova sfida», spiega il presidente di Fondazione Telethon Luca di Montezemolo.
L’ADA-SCID (immunodeficienza severa combinata da deficit diadenosina-deaminasi) è una malattia genetica molto rara, potenzialmente mortale. Nei bambini che ne sono affetti il sistema immunitario non è in grado di combattere le infezioni e sono costretti a vivere in un ambiente sterile e isolato. Dal 2016 è disponibile sul mercato una terapia genica frutto della ricerca svolta dall’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-TIGET), commercializzata con il nome di Strimvelis. Tuttavia, lo scorso anno, l’azienda farmaceutica anglo-statunitense Orchard Therapeutics PLC, titolare del prodotto, aveva annunciato di voler disinvestire nel campo delle immunodeficienze primitive. Qui è entrata in campo Telethon, che ha rilevato il prodotto.
«Vedere il logo Telethon associato a Strimvelis è emozionante: è un po’ come se la terapia genica tronasse a casa», commenta Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-TIGET). Aiuti è stato tra i ricercatori che hanno lavorato allo sviluppo di questa terapia. «Si basa sulla correzione del difetto genetico nelle cellule staminali matopoietiche, cioè le cellule madri che generano tutte le cellule del sangue compresi i globuli bianchi. Serve per curare questa gravissima malattia genetica in cui i bambini nascono senza difese immunitarie e non sono in grado di difendersi dalle infezioni. In tal modo, anche un banale raffreddore può essere fatale. Grazie alla terapia genica il sistema immunitario può essere rigenerato», spiega.
Dopo le prime fasi di ricerca all’SR-TIGET, la terapia era stata portata sul mercato da Gsk, che ha seguito la complessa fase registrativa. Strimvelis è poi passata a Orchard Therapeutics, che lo scorso anno ha però annunciato di voler disinvestire nel campo delle immunodeficienze primitive. «Avrebbe significato perdere questo trattamento – aggiunge Pasinelli -. È una cosa che non avremmo potuto permettere: saremmo venuti meno al mandato per cui siamo nati. Dopo un’attenta valutazione e una fase preparatoria lo scorso 15 marzo ritenevamo di avere tutte le carte in regole per fare la domanda all’Ema per trasferimento dell’autorizzazione alla commercializzazione». Dal luglio Telethon è a tutti gli effetti titolare della terapia. «È un successo, ma anche un messaggio per le famiglie: ora sanno che non sono abbandonate, perché – conclude Aiuti – Telethon ha trovato un modo per proseguire l’accesso a queste cure».
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