Salute 14 Settembre 2023 15:01

Tumore ovarico: diagnosi tardiva per sette donne su 10. Nel primo libro bianco le richieste delle pazienti

“Cambiamo rotta”, il primo Libro bianco illustrato sul carcinoma ovarico: le storie di nove donne e del proprio viaggio lungo il percorso di diagnosi e cura. Presentato il Manifesto ACTO 2.0: garantire standard ottimali di informazione, prevenzione, diagnosi e cura le sfide prioritarie per promuovere un nuovo passo avanti nella gestione del tumore ovarico

Tumore ovarico: diagnosi tardiva per sette donne su 10. Nel primo libro bianco le richieste delle pazienti

«I medici lo sanno e io l’ho imparato a mie spese: non ci sono campanelli di allarme per il tumore ovarico. Non ha sintomi specifici, è vero, ma può essere quanto meno fortemente sospettato con una semplice ecografia eseguita dal ginecologo. Nel mio caso – ma so di non essere sola – non è bastato». Annamaria è una delle nove protagoniste di “Cambiamo rotta”, il primo libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico. La sua storia l’ha raccontata Nancy Brilli, intervenuta oggi, nella veste di madrina, all’evento di presentazione del libro bianco: «Ho sempre sofferto di endometriosi, poi – racconta l’attrice – all’età di trent’anni mi è stato diagnosticato il tumore ovarico. I medici mi dissero immediatamente che non avrei mai potuto mettere al mondo un figlio. Fortunatamente la scienza va avanti e le prospettive di cura cambiano: oggi sono madre di un ragazzo di 23 anni».

 “Cambiamo rotta”, l’analisi

La diagnosi, per Annamaria così come per moltissime altre donne, è stata piuttosto tardiva: il 70% delle pazienti scopre il tumore ovarico in fase avanzata, sia per la mancanza di strumenti di screening efficaci, che a causa di sintomi aspecifici che non destano un particolare allarme. Il libro bianco, presentato a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dei Tumori Ginecologici che si celebra il 20 settembre, mostra come i sintomi non specifici siano presenti nel 54% dei casi. Per oltre 4 donne su dieci la diagnosi è stata del tutto casuale: a seguito di controlli di routine (26%) o di controlli per altre patologie (16%). Sono tre i sintomi più frequenti: gonfiore addominale (58%), disturbi nel basso ventre (39%) e perdita di peso (34%). Il 94% delle donne non ha sospettato che potessero essere riconducibili a un tumore ginecologico.

Perché la diagnosi arriva tardi

«Il primo motivo per cui la diagnosi arriva spesso così tardi è la mancanza di uno screening efficace. Va anche detto che il tumore origina spesso nelle tube, il che significa che quando viene osservato nelle ovaie può avere avuto già il tempo di diffondersi – spiega Giusy Scandurra, Direttore UOC Oncologia Medica all’Ospedale Cannizzaro di Catania -. I rari casi in cui riusciamo a fare una diagnosi precoce sono dovuti a un’identificazione occasionale, di solito in seguito a un’ecografia transvaginale effettuata per un controllo ginecologico di routine».

Che cos’è il tumore ovarico

Ma ci sono anche buone notizie. Se fino a dieci anni fa, sette donne su dieci che ricevevano una diagnosi di tumore ovarico non ne avevano mai sentito parlare prima, oggi la situazione si è completamente ribaltata: il 70% delle donne conosce la malattia già prima della diagnosi. Il canale principale di informazione è il ginecologo (36%), al secondo posto si trovano i siti internet, le trasmissioni e i servizi in TV e radio e il medico di famiglia (17%). Non mancano nemmeno i social network, forum e blog (10%).
Il tumore ovarico è raro rispetto ad altre neoplasie, rappresenta circa il 3% di tutte le diagnosi di tumori femminili. In Italia sono, in media, 5.300 le nuove diagnosi effettuate ogni anno e nell’80% dei casi la malattia viene individuata quando si è già diffusa a livello locale, al peritoneo e ai linfonodi dell’addome. Se non addirittura nei casi più avanzati, al di fuori della zona pelvica: al fegato, alla pleura e in altri organi distanti.

L’indagine

L’indagine condotta per la stesura del libro bianco ha coinvolto 109 pazienti con tumore ovarico distribuite su tutto il territorio nazionale: il 47% al Nord, il 25% al Centro e il 28% nel Sud e nelle isole, con un’età media di 57 anni. Per tutte queste donne la diagnosi risale, in media, a 3 anni fa. Hanno contribuito alla redazione del testo oltre 20 professionisti, tra clinici ed esperti, e nove donne che hanno deciso di mettere nero su bianco le loro storie, dalla diagnosi alla cura.
La prefazione del libro è del Ministro della Salute, Orazio Schillaci che ricorda l’importanza della prevenzione, della diagnosi precoce e della presa in carico tempestiva e appropriata «linee strategiche delineate dal Piano Oncologico Nazionale 2023-2027 nonché – sottolinea il Ministro – le leve fondamentali su cui puntare con rinnovato impegno, anche cogliendo a pieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie».

L’importanza della prevenzione

Anche il professore Paolo Scollo, Ordinario di Ostetricia e Ginecologia, all’Università Kore di Enna e Direttore del Dipartimento Materno-infantile dell’Ospedale Cannizzaro di Catania, punta i riflettori sulla prevenzione: «Non abbiamo strumenti di screening per il tumore ovarico, ma è importante che tutte le donne, a partire dall’adolescenza avanzata, facciano ogni anno la visita ginecologica con ecografia pelvica, se possibile per via transvaginale». Che una semplice ecografia, un esame veloce e non invasivo possa cambiare il corso delle cose lo sa bene Emanuela. «La diagnosi è arrivata in appena 12 ore. Era il 2012 – racconta nel libro bianco -. Avevo chiesto consiglio a un amico gastroenterologo per la mia pancia gonfia e lui, senza pensarci, mi aveva detto di fare subito un’ecografia addominale. Sono entrata in un ospedale la mattina seguente, e il pomeriggio ne sono uscita con il verdetto. Avevo 47 anni e il pensiero che potesse trattarsi di un tumore era lontanissimo da me…».

Come cambiare rotta

Tuttavia, che il pensiero di ammalarsi sia lontano dalla mente della maggior parte delle donne non deve tradursi in una totale mancanza di consapevolezza. Aumentarla è uno dei principali obiettivi del libro bianco “Cambiamo rotta”: «Sono tanti i passi avanti fatti negli ultimi anni. Ma ancora non basta, poiché la maggior parte delle donne affette da tumore ovarico se ne accorge quando la patologia è già in uno stadio avanzato. È necessario aumentare l’informazione non solo sulla malattia, ma anche sui centri specializzati che abbiamo a disposizione sul territorio nazionale», dice Nicoletta Cerana, Presidente ACTO Italia. Sulla percezione dell’importanza della qualità delle cure, infatti, c’è ancora molta strada da fare: meno di tre pazienti su dieci, il 27%, sceglie di curarsi in un centro specializzato, ignorando quanto una decisione del genere possa fare la differenza nel percorso terapeutico. Ed è proprio per migliorare la presa in carico globale delle donne con tumore ovarico che Acto ha individuato sette azioni prioritarie, sintetizzate in un Manifesto, redatto a partire dall’analisi dei bisogni delle pazienti, firmato oggi da tutti coloro che sono intervenuto durante la presentazione del libro bianco.

I progressi della scienza, la medicina personalizzata

Oggi, grazie ai progressi della ricerca scientifica la percentuale di pazienti potenzialmente guarite è in aumento. Eppure, si potrebbe fare di più. La ricerca di ACTO Italia mostra che meno della metà delle pazienti, il 45%, accede alla profilazione genomica (HRD), non ancora rimborsata dal Sistema Sanitario Nazionale. Al 12% dei pazienti non viene proposto nemmeno il test genetico per le mutazioni BRCA, nonostante sia stato inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e quindi fruibile in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale.
«Di recente – spiega la professoressa Nicoletta Colombo, dell’Università Milano-Bicocca, Direttore del Programma Ginecologia dell’Istituto Europeo Oncologia – abbiamo scoperto il primo “bersaglio” del tumore ovarico che può essere colpito con farmaci mirati. Si chiama Deficit della Ricombinazione Omologa (HRD) ed è presente nei tumori di tutte le pazienti con mutazioni BRCA e di un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni». Si tratta, in altre parole, della metà dei casi totali. Perciò è necessario garantire sia i test genetici, a scopo di prevenzione delle persone sane, e genomici, sul tessuto tumorale.

I test genetici

Questi test sono, dunque, il requisito essenziale per garantire a ogni paziente una strategia terapeutica personalizzata. «Individuare la terapia più adatta ad ogni singolo paziente è un aspetto centrale soprattutto quando parliamo del trattamento chirurgico, che oggi – afferma Giovanni Scambia, Direttore UOC Ginecologia Oncologica – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma – rappresenta la terapia d’elezione in tutte le fasi della malattia: nello stadio iniziale, dove l’intervento e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi di guarigione anche dell’80-85%, e negli stadi avanzati, dove l’intervento da solo riesce a eradicare la malattia in circa il 60% delle pazienti. Intervento che richiede il contributo di un’équipe specializzata, la cui presenza è garantita solo nei centri specializzati».

Fertilità, sessualità e lavoro

Chemioterapia, terapie farmacologiche, intervento chirurgico non sono le uniche possibilità che devono essere offerte ad una donna con tumore ovarico lungo il suo percorso di cura. È necessario che siano informate sui temi importanti come la fertilità, la sessualità e la ripresa della vita attiva e lavorativa. Non sono molti i casi in cui è possibile avere una gravidanza dopo una diagnosi di tumore ovarico, e riguardano ovviamente le pazienti con carcinoma ovarico in stadio iniziale, dove una delle due ovaie può essere conservata. La possibilità di questo percorso, però, non deve essere esclusa a priori. Dal libro bianco emerge che il 43% di tutte le pazienti – e il 78% di quelle under 40 – ha ricevuto informazioni sul percorso di onco-fertilità. Il 4% lo ha intrapreso. La sessualità, invece, sembra essere un tabù per 4 donne su 10. Per oltre la metà delle donne la sessualità è peggiorata, ma solo nel 16% dei casi le pazienti hanno cercato un supporto nello psicologo e nel 12% nel ginecologo. Nessuna donna si è rivolta al sessuologo. «Riprendere i rapporti sessuali dopo le cure non è mai facile – racconta Cristina, una delle nove donne protagoniste del libro bianco – . Il corpo reagisce diversamente dopo la chemio, gli interventi e la menopausa indotta. È un fatto fisico ma anche mentale, per cui dovrebbero essere offerti entrambi i tipi di supporto, sia ginecologico che sessuologico, a chi lo desidera».

La vita dopo il cancro

Molto c’è da fare anche per migliorare l’informazione sui diritti socio-economici: il 40% non ha ricevuto comunicazioni su tali diritti e solo il 26% si sente ben informata. Le condizioni lavorative risultano peggiorate per il 65% delle pazienti, e le condizioni economiche per il 53%. Ancora troppe poche donne si prendono cura anche della qualità della propria vita: il 45% delle pazienti va da psicologi, nutrizionisti e professionisti specializzati nelle terapie complementari. Il 30% si rivolge alle Associazioni di pazienti o volontariato. Il 43% vorrebbe maggiori informazioni sulle terapie complementari-integrative, il 31% maggior confronto tra pazienti, il 28% maggior supporto psicologico. Le risposte delle donne sottolineano la necessità di offrire questo tipo di supporti in modo sistematico all’interno del sistema socio-sanitario pubblico. Perché, anche quando la fase peggiore è passata e non resta che tenere la situazione sotto controllo, l’ansia permane: «La settimana prima dei controlli non riesco mai a dormire – racconta Antonia che ha ricevuto la sua diagnosi 20 anni fa -. Forse è l’unica ansia che non mi ha mai abbandonato. È normale avere paura e si attraversano momenti di sconforto. Ma non ho mai mollato, nonostante tutto, per un sentimento bellissimo chiamato amore. Per me stessa, per mio marito, per i miei 3 figli e per i miei 7 nipoti. Ho sempre riso persino della mia parrucca e – conclude – non ho mai nascosto di portarla con orgoglio».

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