Uno studio condotto dalla University of Colorado Anschutz Medical Campus (Stati Uniti) ha dimostrato l’efficacia della cosiddetta «terapia di rielaborazione del dolore» (Prt), la quale consiste nell’utilizzo di terapie di tipo cognitivo-comportamentale che aiutino il paziente a ricondurre l’origine del dolore a processi cerebrali reversibili, anziché ad effettivi danni fisiologici
Specifiche terapie comportamentali possono essere molto efficaci nel ridurre le sofferenze percepite da coloro che soffrono di mal di schiena cronico primario. Uno studio condotto dalla University of Colorado Anschutz Medical Campus (Stati Uniti) ha dimostrato l’efficacia della cosiddetta «terapia di rielaborazione del dolore» (Prt), la quale consiste nell’utilizzo di terapie di tipo cognitivo-comportamentale che aiutino il paziente a ricondurre l’origine del dolore a processi cerebrali reversibili, anziché ad effettivi danni fisiologici. I risultati del lavoro sono stati pubblicato sulla rivista Jama Network Open.
Lo studio ha coinvolto in totale 151 pazienti, di cui 81 donne e 70 uomini di età compresa fra i 21 e i 70 anni, che all’inizio dello studio riportavano dolore cronico primario alla schiena di moderata intensità. I pazienti sono poi stati divisi in tre gruppi: uno trattato con placebo, un altro con i trattamenti tradizionali e un altro ancora con la Prt. Prima dell’inizio e dopo la fine del ciclo dei tre diversi tipi di trattamento ai pazienti è stato chiesto di esprimere in una scala da 0 a 10 il livello di dolore percepito. I partecipanti hanno anche descritto quale pensassero fosse l’origine o la causa del proprio dolore fisico. «Spesso le discussioni con i pazienti si concentrano sulle cause biomediche del dolore», spiega Ashar. «Il ruolo del cervello viene discusso raramente. Con questa ricerca – sottolinea – vogliamo fornire ai pazienti il massimo sollievo possibile esplorando diversi trattamenti, compresi quelli che affrontano le cause cerebrali del dolore cronico».
Secondo i risultati dello studio, i pazienti sottoposti a Prt che attribuiscono il dolore a processi cerebrali è aumentato rispetto a quanto riscontrato prima all’inizio dello studio. In particolare, i ricercatori hanno scoperto che due terzi delle persone trattate con Prt hanno riferito di non soffrire più o quasi dopo il trattamento, rispetto a solo il 20% dei controlli con placebo. «Questo studio è di fondamentale importanza perché le attribuzioni del dolore da parte dei pazienti sono spesso imprecise», dice Ashar. «Abbiamo scoperto che pochissime persone credevano che il loro cervello avesse qualcosa a che fare con il dolore. Ciò può essere inutile e dannoso – continua – quando si tratta di pianificare il recupero poiché le attribuzioni del dolore guidano le principali decisioni terapeutiche, ad esempio se sottoporsi a un intervento chirurgico o a un trattamento psicologico». Prima del trattamento Prt, solo il 10% delle attribuzioni dei partecipanti al trattamento Prt erano legate alla mente o al cervello. Tuttavia, dopo il Prt, questa percentuale è aumentata al 51%.
Lo studio ha rivelato che più i partecipanti passavano a considerare il loro dolore come dovuto a processi mentali o cerebrali, maggiore era la riduzione dell’intensità del dolore cronico alla schiena che riferivano. «Questi risultati – evidenzia Ashar – dimostrano che il cambiamento di prospettiva sul ruolo del cervello nel dolore cronico può consentire ai pazienti di ottenere risultati migliori». Secondo i ricercatori, una delle ragioni potrebbe essere che quando i pazienti comprendono che la loro sofferenza dipende da processi cerebrali, apprendono che non c’è niente di sbagliato nel loro corpo e che il dolore è un «falso allarme» generato dal cervello. E quindi non c’è bisogno di averne paura. I ricercatori sperano che questo studio incoraggi gli operatori sanitari a parlare ai loro pazienti delle ragioni delle loro sofferenze e a discutere le cause al di fuori di quelle biomediche.
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