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Tosse, soffocamento, polmonite ab ingestis ed infezioni sono alcune delle conseguenze. Mentre le cause sono riconducibili a malattie neurologiche come ictus, neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer, debolezza muscolare e sarcopenia
Se hai difficoltà a far partire la deglutizione, la sensazione di cibo fermo in bocca o in gola. Se i tempi del pasto si allungano, il cibo sfugge dalla bocca e hai la necessità di raschiarti spesso la gola, allora potresti soffrire di disfagia. Altri campanelli d’allarme che potrebbero indicare la presenza di questo disturbo sono: la fuoriuscita di cibo dal naso, il reflusso, la comparsa di tosse involontaria dopo due-tre minuti dalla deglutizione del bolo, presenza di catarro e aumento della salivazione e della temperatura corporea. La lista dei segnali tipici della disfagia è stata stilata dalla SINuC che, in presenza di uno o più sintomi, suggerisce di eseguire il test di autovalutazione EAT 10: «Se il punteggio è superiore a tre – sottolineano gli esperti – sarà necessario richiedere al proprio medico una visita specialistica».
La disfagia oro faringea non è una malattia ma è un sintomo riconosciuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che la definisce come “la difficoltà o l’incapacità di spostare un bolo alimentare in modo sicuro ed efficace dalla bocca all’esofago”. Tosse, soffocamento, polmonite ab ingestis ed infezioni ma anche un rischio aumentato di lesioni da decubito, sono alcune delle conseguenze. Mentre le cause sono riconducibili a malattie neurologiche come ictus, neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer, debolezza muscolare e sarcopenia. Proprio quest’ultima condizione, caratterizzata dalla perdita di muscolo può causare o aggravare la disfagia. «E’ importante che il paziente o chi lo assiste, sia esso un familiare o un sanitario, ponga attenzione ad alcuni campanelli d’allarme, che indicano il probabile e il potenziale rischio di passaggio di piccole quantità di alimenti nelle vie aeree», spiega il dottor Paolo Orlandoni Direttore UOSD Nutrizione Clinica IRCCS-INRCA di Ancona e membro del Direttivo SINuC.
«Per modificare la consistenza degli alimenti proposti e raggiungere la densità più sicura per la deglutizione, si possono utilizzare additivi naturali e/o artificiali, come addensanti, diluenti e lubrificanti. D’altro canto – continua Orlandoni – anche le linee guida 2018 sulla nutrizione clinica e idratazione in geriatria ribadiscono che agli anziani a rischio o con malnutrizione e segni di disfagia dovrebbero essere proposti cibi a consistenza modificata. Così come sono candidati all’utilizzo di Supplementi Nutrizionali Orali (ONS), anziani con malattie croniche quando la consulenza nutrizionale e la fortificazione dei cibi non siano sufficienti a raggiungere gli obiettivi nutrizionali. Importante anche l’assistenza al momento dei pasti sia a casa che nelle strutture di ricovero e cura».
Nei casi in cui, la sola alimentazione modificata non riesca a coprire i fabbisogni calorici e proteici del paziente, si può ricorrere all’uso di Supplementi Nutrizionali orali (ONS). «È necessario un approccio integrato alla nutrizione nella RSA in particolare nel disfagico – sottolinea Samir Sukkar, specialista in gastroenterologia e membro del Direttivo SINuC -. Alimentarsi non è un’operazione meccanica e medicalizzata, ma un’azione complessa, ricca di significati e di valori culturali, emotivi, psicologici, simbolici, sensoriali. Per questo è importante cercare soluzioni che permettano all’ospite RSA di continuare a provare il piacere del cibo, soprattutto quando questo è l’unico piacere che ha. A questo obiettivo contribuiscono: la varietà dei menù, la ricerca di ricette tradizionali e tipiche, l’accentuazione dei colori e dei gusti, come caratteristiche che aiutano a rafforzare e mantenere l’interesse, l’attenzione, l’appetibilità e il piacere di mangiare. Colore, composizione e varietà dei menu sono elementi che mantengono il senso del gusto».
La disfagia orofaringea è un sintomo, molto frequente negli over 65: si calcola che la prevalenza della disfagia orofaringea aumenti a circa il 50% o più nei soggetti anziani ospedalizzati o nelle RSA, colpendo circa il 13% della popolazione generale dopo i 65 anni di età. Inoltre, si ritiene che circa un individuo su 17 ne possa soffrire prima o poi nel corso della vita. La difficoltà nel deglutire può causare stati d’animo negativi quali disagio, ansia, depressione e isolamento sociale e portare a malnutrizione, disidratazione e perdita di massa muscolare. Ma le complicanze non si limitano a questo: una diminuzione della sicurezza della deglutizione non garantisce la chiusura delle vie respiratorie al passaggio di liquidi o solidi, con conseguente rischio di aspirazione tracheo-bronchiale, polmonite ab ingestis e morte (evitabile).
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