Un momento di confronto, tutto al femminile, sulla professione del farmacista ospedaliero, sull’oncologia medica e sul percorso di cura delle pazienti con tumore metastatico della mammella
Farmacista, oncologa, paziente: un’alleanza che non può mancare nel tumore della mammella. Ci credono fortemente Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna, Rossana Berardi, Direttrice della Clinica Oncologica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche e Roberta Di Turi, Direttrice della Farmacia Ospedaliera della Asl Roma 3, intervenute lo scorso 6 ottobre a Roma in occasione del XLIV Congresso della Società italiana dei farmacisti ospedalieri (Sifo) in un simposio dal titolo “Professioniste leader in oncologia: farmaciste, medici e pazienti unite per il mese dedicato alla prevenzione del carcinoma della mammella”, realizzato con il contributo non condizionante di Menarini Stemline. Un momento di confronto, tutto al femminile, sulla professione del farmacista ospedaliero, sull’oncologia medica e sul percorso di cura delle pazienti con tumore metastatico della mammella, ma anche un momento di riflessione su quanta strada ci sia ancora da fare per colmare un gap di genere ancora troppo presente anche nelle professioni sanitarie.
Negli anni il ruolo del farmacista è profondamente cambiato passando dall’essere considerato un “payer” ad una figura strategica nella valutazione degli esiti e nella gestione del percorso terapeutico del paziente. I progressi nella ricerca scientifica, con l’avvento delle nuove terapie, hanno evidenziato come il clinico debba necessariamente confrontarsi con tutte le figure professionali coinvolte nella presa in carico del paziente. “Le terapie sono sempre più personalizzate e richiedono un’attenta conoscenza dello stato clinico del paziente con una serie di attenzioni particolari al fine di migliorare i percorsi che garantiscono appropriatezza e soprattutto sicurezza al paziente”, ha ricordato Roberta Di Turi. “Con la centralizzazione delle terapie antiblastiche abbiamo dovuto imparare a lavorare utilizzando procedure molto rigorose e soprattutto a dialogare tantissimo con i clinici, nonché portare l’informazione anche al letto del paziente in diversi ambiti con un’attività di counseling che soltanto fino a qualche anno fa non era neanche ipotizzabile”, ha proseguito la farmacista.
Con l’arrivo delle terapie orali il paradigma è cambiato ulteriormente. I pazienti preferiscono questo tipo di terapie perché meglio gestibili al di fuori dell’ambito ospedaliero, ma soprattutto per questo il farmacista è chiamato ad una responsabilità ancora più grande. È colui che istruisce il paziente sul corretto utilizzo del farmaco ed è “chiamato a fare una ricognizione terapeutica e a cercare di offrire la migliore assistenza possibile in termini di riconciliazione e di consigli per l’uso”, ha precisato Di Turi. Questo perché il rischio che il paziente non sia totalmente aderente, o lo sia non in modo corretto, è molto elevato e quindi il monitoraggio è uno dei punti focali.
Ciò è oltremodo vero per una patologia come il tumore mammario metastatico. La forza delle Breast Unit sta nell’interdisciplinarietà e nel continuo dialogo tra professionisti e pazienti. Come ricordato dalla stessa Rossana Berardi, “laddove la donna riesce a essere accolta e curata nel contesto di una Breast Unit possiamo avere un aumento delle sue prospettive di vita e di guarigione, con addirittura un più 18% in termini di sopravvivenza”. È proprio per questo che “la relazione a cui si dà vita con il dialogo tra paziente, medico e farmacista, si trasforma in un rapporto confidenziale diretto che in un mondo al femminile può fare la differenza”, ha aggiunto Di Turi.
Purtroppo, permane un gap di genere difficile da colmare e a parlare sono i dati: “di circa 3mila farmacisti, nel 2020, l’80% sono donne”, ha ricordato sempre Di Turi, ma se guardiamo alle figure apicali “scendiamo al 71%”. Nel caso delle oncologhe invece, si passa dalla rappresentanza complessiva del 60% al solo 26% per i direttori di Unità Oncologiche. La tendenza a voler invertire la rotta però c’è e arriva da realtà come Women For Oncology Italy, lo spin off della società europea di oncologia medica che riunisce le donne oncologhe con l’obiettivo di mettere a fattor comune competenze, esperienze di leadership e di merito. La chiave è provare a “valorizzare quelle sensibilità squisitamente femminili e metterle al servizio dei pazienti e delle pazienti”, ha ricordato Berardi.
“Questo è particolarmente utile con le donne che hanno una storia di carcinoma mammario la cui cura è possibile con una sensibilità speciale. È evidente che la figura professionale del medico è indipendente dal genere o dal sesso biologico, ma certamente è importante che tutti noi con le nostre doti professionali e umane ci mettiamo al servizio per curare le donne, in questo caso col tumore al seno”, ha proseguito l’oncologa.
Come per Di Turi, anche per Berardi le nuove terapie hanno segnato, e stanno segnando, un cambiamento nelle modalità organizzative e nell’approccio al paziente. “Sappiamo che per le donne con una storia di tumore al seno sono stati fatti passi da gigante grazie alle nuove tecniche diagnostiche e alle nuove terapie nell’ottica di un’oncologia sempre più personalizzata e cucita su misura per le nostre pazienti. È importante dunque valutare le migliori terapie per le pazienti considerando anche quei fattori biomolecolari che ci possano indicare la strada da intraprendere per stimare meglio la prognosi”, ha concluso Berardi. Di fatto la disponibilità di test genomici, quali ad esempio quelli per le mutazioni ESR1, consente di individuare le pazienti eleggibili a nuove opzioni terapeutiche assicurando loro maggior efficacia e buona tollerabilità.
L’innovazione tecnologica dei test genomici permette oggi di valutare ad esempio le mutazioni di ESR1 attraverso biopsia liquida, una metodica sensibile e al tempo stesso meno invasiva rispetto alle biopsie tissutali tradizionali. La semplicità della biopsia liquida consente di valutare l’evoluzione della malattia lungo tutto il percorso terapeutico, offrendo possibilità di personalizzare il trattamento in modi che prima non erano possibili.
In questo contesto le associazioni di pazienti sono il megafono delle richieste e dei bisogni delle pazienti. Come ricordato dalla presidente di Europa Donna, Rosanna D’Antona, alle associazioni spetta un ruolo strategico di advocacy: “noi siamo coloro che portano avanti i bisogni inespressi delle pazienti”, ha rimarcato D’Antona. Tutelare i diritti dei pazienti è un’azione fondamentale e parte integrante del lavoro delle associazioni il cui obiettivo ultimo rimane certamente quello di fare in modo che le nuove terapie e le innovazioni in ambito clinico siano fruibili dalle pazienti nel minore tempo possibile, su tutto il territorio nazionale e in conformità con gli standard di sicurezza. Altro tassello fondamentale è la sensibilizzazione e anche per questo Europa Donna ha fortemente sostenuto l’istituzione della giornata dedicata al tumore mammario metastatico, il 13 ottobre di ogni anno, per educare e informare la popolazione e le istituzioni sulle necessità ormai indifferibili di queste pazienti.