Dalla nascita all’adolescenza, gli indicatori di salute mostrano uno svantaggio dei bambini stranieri in Italia rispetto ai loro coetanei italiani: sono molto più esposti al rischio di subire maltrattamenti e a condizioni di svantaggio socioeconomico che influiscono sul loro stato di salute. Il focus al Congresso della SIP
Le diseguaglianze di salute, su base sociale e geografica, riguardano purtroppo tutti i bambini nel nostro Paese e risultano particolarmente evidenti nel confronto Nord-Sud ed Isole. Le disuguaglianze si amplificano nei bambini stranieri per effetto di barriere linguistiche, storie migratorie, condizioni sociali ed economiche, ostacoli burocratici e amministrativi. I bambini stranieri sono diseguali tra diseguali: hanno un rischio più che doppio di mortalità neonatale e infantile rispetto ai bambini italiani, sono molto più esposti al rischio di subire maltrattamenti (ancor più se femmine) e a condizioni di svantaggio socioeconomico che influiscono sul loro stato di salute. La povertà assoluta, che implica il non potersi permettere le spese minime per condurre una vita accettabile, riguarda il 36,2% delle famiglie straniere con minori contro il pur preoccupante 8,3% dei nuclei familiari con minori composti da genitori italiani. A confermare la vulnerabilità di questa popolazione alcune condizioni emergenti come l’incremento del tasso di sovrappeso e obesità che secondo alcuni studi è passato dall’1 al 10% in dieci anni, così come quello del diabete 1. È questa la fotografia scattata durante il Congresso della Società Italiana di Pediatria in corso a Torino, che mette in luce la particolare condizione di fragilità e di marginalità di una popolazione tutt’altro che (numericamente) “marginale”: in Italia è straniero circa 1 bambino su 10 da 0 a 18 anni.
Secondo l’Istat (30° Rapporto annuale 2022) il totale dei soggetti da 0 a 18 anni con background straniero sono 1 milione e 300 mila e circa un milione sono i minorenni nati in Italia da genitori stranieri (le cosiddette seconde generazioni). Nel quadro drammatico della natalità – lo scorso anno i nuovi nati sono stati appena 393 mila, il dato più basso dall’unità d’Italia – i figli nati da genitori migranti hanno rappresentato il 15% di tutti i nati. Ai bambini nati in Italia si sommano i minori stranieri giunti nel nostro Paese per ricongiungimento familiare e i minori stranieri non accompagnati che scappano da Paesi colpiti da guerre e persecuzioni. È dunque un mondo articolato e complesso quello dei minori migranti; ciascuno di questi bambini ha caratteristiche proprie legate alla personale vicenda umana e sociale che rimandano a specifiche vulnerabilità per quanto riguarda la tutela dei propri diritti, primo tra tutti quello alla salute.
Primo passo per garantire a tutti i bambini stranieri il migliore livello di tutela sanitaria possibile, a partire dalla prevenzione che gioca un ruolo fondamentale nel determinare la salute anche futura, è dare piena attuazione alla norma che garantisce l’iscrizione al SSN e il diritto al pediatra di famiglia a tutti i bambini, indipendentemente dal loro status giuridico o da quello dei genitori. Un diritto sancito nel 2012 da un Accordo Stato Regioni e previsto nei Livelli Essenziali Assistenza (LEA) nel 2017. Ma rimasto al palo per un decennio. “L’ostacolo burocratico che sinora ha impedito la piena applicazione della legge è stata la mancanza di indicazioni operative nazionali per quanto riguarda l’applicazione dei codici fiscali e dei codici di esenzioni. Si è lasciata alle singole Regioni l’opportunità di attrezzarsi con il risultato di una grande eterogeneità territoriale e un’ingiusta diseguaglianza – afferma Piero Valentini, Segretario del Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Migrante della Società Italiana di Pediatria (GLNBM) -. Nel 2022 però finalmente due circolari del Ministero della Salute hanno regolamentato questi aspetti. Ora tutte le Regioni e le Province autonome hanno tutti gli strumenti per rendere questo diritto omogeneo e diffuso. Da qui l’invito a non perder altro tempo”, aggiunge Valentini.
Barriere linguistiche e sociali influenzano il comportamento delle donne in gravidanza. La marginalità e la scarsa conoscenza dei percorsi sanitari sembra tradursi in maggiori rischi per la salute della mamma e del neonato, con più nascite pretermine, infezioni, malformazioni, asfissia, distress respiratorio. La mortalità neonatale nei nati di madri straniere è pari a 2,5 ogni mille nati vivi, contro 1,6 ogni mille nati vivi da madri italiane, quella infantile è del 3,7 per mille contro il 2,3 (Istat). D’altra parte, ben il 12,5% delle gravide straniere effettua il primo controllo ginecologico dopo l’undicesima settimana di gestazione contro il 2,2% delle italiane (Cedap, evento nascita anno 2020).
Essere nati in Italia da genitori stranieri comporta da un lato minori difficoltà assistenziali, trattandosi di nuclei già inseriti nella nostra realtà; tuttavia, occorre fare attenzione ad alcune condizioni emergenti. “Abbiamo osservato nei bambini stranieri in età scolare e negli adolescenti, un aumento del tasso di obesità e sovrappeso, passato dall’1% di dieci anni fa ad oltre il 10% e si stanno avvicinando a quelli preoccupanti dei bambini italiani – afferma Gianni Bona, fondatore del Gruppo di Lavoro Nazionale sul Bambino Migrante della SIP -. Questi bambini tendono infatti ad assumere le abitudini alimentari dei loro coetanei seguendo una dieta ricca di zuccheri e a grassi”. Una seconda condizione emergente riguarda il diabete mellito giovanile di tipo 1 che, soprattutto nei bambini appartenenti in alcune etnie e giunti nel nostro Paese dopo la nascita, ha una prevalenza di 10 volte maggiore rispetto ai coetanei italiani e un’insorgenza più precoce”, prosegue Bona. Un’altra frequente condizione in particolare tra le bambine adottate all’estero è la pubertà precoce, diretta conseguenza del rapido mutamento dell’ambiente e delle condizioni di vita, responsabile di un’accelerazione dei fenomeni di crescita e sviluppo puberale. “Un aspetto particolare riguarda il deficit di vitamina D, che si osserva non di rado anche nei migranti nati nel nostro Paese, allattati al seno, specie se di pelle scura, per la tendenza delle madri a non esporli alla luce solare e a coprirli eccessivamente, soprattutto se non viene attuata una corretta profilassi con vitamina D”, aggiunge Bona.
“Studi epidemiologici internazionali hanno dimostrato che i bambini di famiglie povere si ammalano di più e soffrono di patologie croniche, muoiono di più, sono meno frequentemente allattati al seno, vanno più spesso incontro a infezioni, disturbi di crescita, obesità, anemia, carenze nutrizionali, carie dentali, disturbi psicologici, comportamentali e anche psichiatrici, ecc.”, afferma Mario De Curtis, Presidente del Comitato per la Bioetica SIP.
La percentuale di minori stranieri in carico ai servizi per maltrattamento è tre volte maggiore rispetto a quella rilevata nella popolazione minorile. La violenza familiare e sociale caratterizza spesso il contesto di provenienza di molti minori presenti nel nostro Paese. Per molti di loro la migrazione è subita adeguandosi al progetto della famiglia e replicando i modelli culturali di appartenenza; in questi contesti possono nascere conflittualità che possono tracimare in violenza diretta e assistita soprattutto a danno delle donne. Essere bambine e ragazze appartenenti a famiglie migranti, prive di risorse e in condizioni di irregolarità e inserite in contesti di marginalità è una zavorra pesante sulla strada dell’autodeterminazione e sicuramente un fattore di rischio per l’esposizione a violenza diretta o assistita. A ciò si aggiungono i matrimoni forzati e le mutilazioni genitali femminili. Secondo dati del GNLBM circa duemila ragazze nate nel nostro Paese sono costrette a sposarsi ogni anno nello Stato di origine, in molti casi per matrimoni precoci e forzati. In Italia si calcola inoltre che su una popolazione totale di 76.040 ragazze di età compresa tra 0 e 18 anni provenienti da Paese a tradizione escissoria dal 15 al 24% siano a rischio di essere sottoposte a mutilazioni genitali femminili.
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