Il tumore del pancreas è quello con la minor sopravvivenza sia a un anno dalla diagnosi (34% nell’uomo e 37,4% nella donna) che a cinque anni (11% nell’uomo e 12% nella donna). Nel 2022, in Italia, 14.500 nuove diagnosi
“La speciale alleanza fra un particolare tipo di cellule immunitarie, chiamate macrofagi IL-1beta+, e alcune cellule tumorali molto aggressive e note per essere legate a infiammazioni”: sarebbe questo uno dei meccanismi responsabile della crescita di uno dei tumori più aggressivi, quello del pancreas. “Si tratta di una sorta di un circolo vizioso autoalimentato. I macrofagi rendono le cellule tumorali più aggressive, e le cellule tumorali riprogrammano i macrofagi in grado di favorire l’infiammazione e la progressione della malattia”, spiega il coordinatore della ricerca che ha permesso di individuare il meccanismo, Renato Ostuni, responsabile del laboratorio di Genomica del Sistema Immunitario Innato all’Istituto Sr-Tiget e professore associato all’Università Vita-Salute San Raffaele.
Quello del pancreas è il tumore con la minor sopravvivenza sia a un anno dalla diagnosi (34% nell’uomo e 37,4% nella donna) che a cinque anni (11% nell’uomo e 12% nella donna). Secondo i dati più recenti, in Italia, nel 2022, le nuove diagnosi sono state 14.500. Circa il 70% dei tumori del pancreas si sviluppa nella testa dell’organo: tale neoplasia prende il nome di adenocarcinoma duttale del pancreas. Meno comuni sono i tumori neuroendocrini, che si sviluppano dalle cellule delle isole di Langerhans, le strutture del pancreas deputate alla secrezione di ormoni. Le persone più a rischio sono quelle con un’età compresa tra i 50 e gli 80 anni: il tumore del pancreas è, infatti, molto raro tra chi ha meno di 40 anni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è stato guidato dall’Istituto San Raffaele di Milano, con l’Istituto Telethon di terapia genica e l’Università Vita e Salute. Hanno collaborato anche le Università di Torino e Verona, l’Istituto francese per la sanità e la ricerca medica (Inserm), il centro di ricerca Biopolis di Singapore e l’Università di Shanghai. “Abbiamo fatto un bel passo avanti nella comprensione dei processi biologici alla base della malattia. Tuttavia – concludono gli autori della ricerca – siamo a uno stato di ricerca preclinica ancora distante dall’applicazione nei pazienti. I prossimi anni saranno essenziali per identificare le potenzialità e le modalità più appropriate per agire su questo nuovo bersaglio terapeutico”.
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