Le conclusioni dei ricercatori italiani: “Le nanoplastiche alterano il microambiente osseo e potrebbero causare una maggiore suscettibilità a sviluppare malattie legate all’impoverimento dell’osso”
Le nanoplastiche sono pericolose per le ossa: alterano il delicato equilibrio e la relazione tra le cellule che popolano il microambiente osseo, un’attività che potrebbe causare una maggiore suscettibilità a sviluppare malattie legate all’impoverimento dell’osso. È questa la conclusione emersa da uno studio italiano pubblicato su ‘Science Direct – Journal of Hazardous Materials’, “La plastica – spiegano i ricercatori – è il materiale che maggiormente caratterizza la nostra epoca. La gestione errata del rifiuto plastico ha determinato infatti un accumulo massivo di oggetti plastici nell’ambiente, che, a seguito della degradazione e della frammentazione associate a processi chimici, fisici e biologici, originano micro e nanoplastiche. Queste ultime rappresentano una delle più recenti categorie di contaminanti emergenti, la cui distribuzione in ambiente e i cui effetti sugli esseri viventi sono largamente sconosciuti”.
La ricerca è frutto di una collaborazione tra Lavinia Casati, ricercatore di Patologia generale presso il Dipartimento di Scienze della salute dell’università Statale di Milano, il Laboratorio di Patologia generale coordinato da Raffaella Chiaramonte, docente di Patologia generale UniMi, e altri gruppi di fra cui il team di Marco Parolini, docente di Ecologia del Dipartimento di Scienze e Politiche ambientali, gli scienziati del Dipartimento di Biotecnologie mediche e Medicina traslazionale della Statale milanese e dell’università di Parma. “Ad oggi esistono pochi studi inerenti agli effetti indotti dall’esposizione alle nanoplastiche su modelli ecotossicologici e ancora meno studi sull’uomo – spiega Lavinia Casati, ultimo autore e corresponding author della ricerca -. Da qui il lavoro che ci ha permesso di descrivere l’azione di questi contaminanti sull’osso, usando un modello in vitro che potesse fornirci una visione ad ampio spettro”.
Per scattare una fotografia del microambiente osseo gli scienziati si sono concentrati sulle tre principali tipologie cellulari coinvolte nel mantenimento della massa ossea: i precursori degli osteoblasti, ossia le cellule che depongono l’osso, gli osteociti, considerati i controllori del processo di rimodellamento osseo, i precursori degli osteoclasti, cioè le cellule che degradano l’osso. I ricercatori hanno esposto queste cellule in coltura a nanoplastiche fluorescenti di dimensioni pari a 50 nanometri, verificandone l’effettivo ingresso nella cellula e la loro localizzazione, attraverso tecniche di imaging e citofluorimetria. Le nanoplastiche sono risultate in grado di entrare nelle cellule in modo sia attivo sia passivo, e di localizzarsi a livello citoplasmatico. Sono stati poi valutati gli aspetti tossicologici, medianti saggi enzimatici e colorimetrici e parametri funzionali.
Si è così osservato che le nanoplastiche riducono la vitalità delle cellule, ne aumentano la morte e inducono la formazione di radicali liberi. A livello funzionale, inoltre, le nanoplastiche alterano la capacità migratoria degli osteoblasti e potenziano il riassorbimento indotto dagli osteoclasti. Per descrivere al meglio anche l’effetto delle nanoplastiche a livello molecolare, infine, è stato analizzato l’impatto sull’espressione di geni coinvolti nel mantenimento della massa ossea. Gli autori hanno evidenziato un coinvolgimento di geni relativi all’innesco di processi infiammatori nei precursori degli osteoblasti e negli osteociti, e un’induzione dei geni coinvolti nei processi differenziativi degli osteoclasti. “Anche se saranno necessari ulteriori studi per delineare al meglio la complessa interrelazione tra nanoplastiche e rimodellamento osseo a livello della salute umana – conclude Casati – questo studio ci permette di iniziare a esplorare nuovi orizzonti inerenti ai contaminanti ambientali e al loro impatto sull’uomo”.
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