In Campania la maggioranza degli episodi. L’ipotesi che sia stata proprio un’intossicazione alimentare da botulino ad aver ucciso una donna di 46 anni, nell’avellinese, è per ora la più accreditata
In 36 anni, in Italia, 599 persone sono rimaste intossicate dal botulino. Con 406 casi dal 1986 al 30 settembre 2022, è proprio il Belpaese a detenere il primato europeo (dati Iss). Tra le varie regioni è la Campania ad aver registrato il maggior numero di incidenti, quasi 100, seguita da Puglia e Lazio. Ed è proprio in Campania, più precisamente ad Ariano Irpino, nell’avellinese, che si sarebbe verificato anche l’ultimo episodio, pochi giorni fa. Il caso è ancora al vaglio degli inquirenti, ma l’ipotesi che sia stata proprio un’intossicazione alimentare da botulino a causare la morte di Gerardina Corsano, una donna di 46 anni, è per ora la più accreditata. Il marito della vittima è ancora ricoverato in gravi condizioni. I due avrebbero cenato in un ristorante sabato scorso, per poi accusare i primi malesseri la domenica mattina: i sintomi possono manifestarsi da poche ore ad oltre una settimana dal consumo dell’alimento contaminato (da 6 ore a 15 giorni). In generale, più precoce sarà la comparsa dei sintomi, più grave sarà la malattia.
I casi meno gravi possono auto-risolversi, mentre le forme molto severe possono avere anche un esito fatale. I sintomi più comuni sono: annebbiamento e sdoppiamento della vista (diplopia), dilatazione delle pupille (midriasi bilaterale), difficoltà a mantenere aperte le palpebre (ptosi), difficoltà nell’articolazione della parola (disartria), difficoltà di deglutizione, secchezza della bocca e delle fauci (xerostomia), stipsi. “In molti casi – illustrano gli esperti Iss – compare anche la ritenzione urinaria. Nelle forme più gravi si assiste all’insufficienza respiratoria che può avere esito fatale per blocco della conduzione nervosa ai muscoli responsabili della respirazione. La sintomatologia caratteristica del botulismo ha una progressione simmetrica, interessa sia l’emisfero destro che quello sinistro del corpo, discendente dalla testa, al collo, al torace, fino alla paralisi degli arti e si manifesta con una paralisi flaccida”.
Se diagnosticata in tempo l’intossicazione può essere curata con trattamenti di durata variabile, da qualche settimana a diversi mesi. “Le terapie sono svariate: si va da quella di supporto alla ventilazione, alla decontaminazione intestinale con carbone attivo. Nei casi più gravi può essere necessario il ricorso alla ventilazione assistita e alla nutrizione parenterale. La terapia specifica consiste nella somministrazione di un siero iperimmune – spiegano gli esperti dell’Iss -. Tale siero di antitossine botuliniche, distribuito dal ministero della Salute tramite la rete della scorta nazionale antidoti, deve essere somministrato in prima possibile, senza attendere gli esiti della diagnosi di laboratorio e in ambiente controllato. Pertanto il paziente affetto da botulismo necessita del ricovero ospedaliero, possibilmente in terapia intensiva”.
Il Clostridium botulinum, il più noto tra i clostridi produttori di tossine botuliniche, è stato descritto come il microrganismo responsabile del botulismo per la prima volta nel 1897 da Emile van Ermengem, in seguito a un focolaio di botulismo alimentare verificatosi nella cittadina belga di Ellezelles, in occasione di un funerale. La malattia prende il nome dal termine latino ‘botulus’ (salsiccia) perché la sua descrizione fu associata inizialmente al consumo di salsicce preparate in casa. Tuttavia, almeno in Italia, la maggior parte dei casi di botulismo è correlata al consumo di prodotti di origine vegetale. Come evidenziato nel Report dell’Istituto Superiore di Sanità, “gli alimenti maggiormente coinvolti nei casi di botulismo che si verificano in Italia appartengono alla categoria delle conserve di vegetali in olio (47,7%), conserve vegetali in acqua/salamoia (25,5%), conserve di carne (7,8%), conserve di pesce (7,8%), prosciutto (4,6%) salami e salsicce (3,3%), conserve di formaggio (2,0%), alimenti macrobiotici (1,3%)”. Tra i prodotti conservati in olio sono stati i funghi ad aver causato il maggior numero di intossicazioni, seguiti dalle cime di rapa.
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