Il Presidente del sindacato Guido Quici: «La misura è colma, piano del Governo su tempi d’attesa a rischio flop»
Il 58,5% dei medici non è disponibile a lavorare di più per abbattere le liste d’attesa. È il risultato di un sondaggio lanciato dal sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (che riunisce le sigle ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) a cui hanno risposto mille camici bianchi. Il piano del Governo per ridurre i tempi d’attesa previsto dalla manovra 2024, che prevede un aumento delle retribuzioni delle prestazioni aggiuntive di medici e infermieri, rischia dunque di essere un flop.
Particolarmente interessanti le motivazioni avanzate dai medici: il 29% dichiara di lavorare già molte ore oltre il proprio orario di lavoro e non intende dunque sacrificare ulteriormente la propria vita privata; il 21,5% ritiene che non sia questa la soluzione al problema delle liste d’attesa; solo il 3,5% preferisce prolungare il proprio orario di lavoro lavorando in intramoenia o privatamente mentre il 4,6% ritiene insufficiente l’aumento delle tariffe previsto; il 18% invece lavorerà di più per abbattere le liste d’attesa perché sente il dovere di farlo mentre il 23,4% aderirà alla richiesta per arrotondare lo stipendio.
«Sono numeri che non ci stupiscono – commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -. Da una parte i risultati mettono in luce ancora una volta il grande spirito di abnegazione dei medici, che vengono poi ringraziati con aumenti contrattuali ben al di sotto del tasso inflattivo e con vergognosi tagli alle pensioni; dall’altra confermano quanto abbiamo sostenuto nelle ultime settimane. Chiedendo ai medici già dipendenti di lavorare di più si continua a raschiare il fondo del barile dove, da raschiare, non c’è più nulla. I medici sono stremati da condizioni di lavoro insostenibili. Hanno difficoltà ad andare in ferie o a prendersi qualche ora di permesso perché, a causa della carenza di personale, lascerebbero i servizi svuotati e i pazienti senza cure».
«Ci troviamo dinanzi ad una situazione che ha del grottesco – aggiunge Quici -. Da un lato le Regioni non assumono il personale e risparmiano risorse ingenti: secondo l’AGENAS, nel 2022 le Regioni, rispettando il tetto di spesa, avrebbero potuto spendere per il personale sanitario 2,6 miliardi di euro in più rispetto a quanto effettivamente speso; dall’altro si utilizzano milioni di euro per pagare cooperative e medici a gettone che non possono garantire la stessa continuità, qualità e sicurezza delle cure del personale dipendente; infine, il Governo non solo colpisce i medici dipendenti con tagli inaccettabili ai loro assegni pensionistici, costringendo di fatto chi può ad abbandonare il Servizio sanitario nazionale, ma è chiaramente non intenzionato a superare il tetto alla spesa per il personale, e per abbattere le liste d’attesa copia misure già adottate precedentemente e che si sono dimostrate del tutto fallimentari. Le risorse stanziate infatti arrivano alle Aziende con ritardi clamorosi, che ne rendono impossibile l’utilizzo. E quei soldi non si sa che fine facciano».
«Se veramente si vuole intervenire per ridurre le liste d’attesa occorrono interventi strutturali. Senza il superamento del tetto alla spesa per il personale, incentivi veri che rendano il Servizio sanitario nazionale nuovamente attrattivo ed un piano straordinario di assunzioni, non si otterrà alcun risultato, se non quello di sprecare ogni anno 280 milioni di euro, che potrebbero invece essere utilizzati per assumere medici e infermieri», conclude Quici.