I chirurghi americani hanno eseguito con successo un ri-trapianto di cuore, ovvero l’innesto di un cuore già trapiantato in un paziente, successivamente deceduto, a un secondo malato
‘Un cuore per tre’: si potrebbe sintetizzare così la notizia che vede protagonisti dei chirurghi americani che hanno eseguito con successo un ri-trapianto di cuore, ovvero l’innesto di un cuore già trapiantato in un paziente, successivamente deceduto, a un secondo malato. L’organo dunque ha così ‘battuto’ nel corpo di tre persone: quello del donatore iniziale, quello del primo ricevente e quello del secondo. Questo tipo di intervento – eseguito solo sette volte nella storia – comporta una questione etica in quanto il secondo ricevente beneficia di un ‘cuore riciclato’ (espressione usata in alcune pubblicazioni mediche), quindi richiede, prima di procedere, di un confronto approfondito e di un convinto consenso da parte del paziente che sarà ‘proprietario di seconda mano’ dell’organo.
La storia ha inizio quando ad un ragazzo di 21 anni viene diagnosticata una grave insufficienza cardiaca. Gli viene trapiantato il cuore di un 30enne, morto dopo un’overdose a base di metanfetamine e cannabinoidi di sintesi. Prima di ogni trapianto – riporta il sito del quotidiano francese ‘Le Monde’ – si verifica una cessazione della circolazione sanguigna nell’organo. Questo periodo di tempo è chiamato ‘tempo di ischemia fredda’ perché l’innesto viene posto in ipotermia in un contenitore isotermico per ridurre le conseguenze dell’assenza di perfusione dell’organo con sangue ossigenato. Il tempo tollerabile di ischemia fredda per un innesto cardiaco è inferiore a 4 ore (ovvero 240 minuti). Per quanto riguarda il paziente 21enne, il cui caso è stato segnalato dai chirurghi della George Washington University e descritto sul ‘Texas Heart Institute Journal’, il tempo di ischemia è stato di 188 minuti.
Il giorno dopo il trapianto di cuore, il giovane purtroppo avuto un ictus molto grave. Ha continuato comunque a ricevere la terapia antirigetto, ma le sue condizioni neurologiche sono peggiorate fino a quando, a 6 giorni dal trapianto, ne è stata dichiarata la morte cerebrale. Tuttavia, il cuore trapiantato continuava a funzionare e il ventricolo sinistro si contraeva normalmente. I chirurghi hanno quindi pensato di trapiantare il cuore su un altro paziente, in questo caso un uomo di 63 anni con una storia familiare di malattie cardiache, che aveva già avuto un infarto miocardico, indossava un defibrillatore impiantabile e soffriva di insufficienza renale cronica. Il paziente era in lista d’attesa per un trapianto di cuore da 366 giorni. I chirurghi hanno quindi proceduto e questa volta il tempo di ischemia è stato di 100 minuti. Non ci sono state complicazioni postoperatorie e l’uomo è tornato a casa 17 giorni dopo l’intervento. L’ecografia cardiaca ha mostrato che i ventricoli sinistro e destro funzionavano normalmente, non c’è stato alcun segno di rigetto e il sta bene 7 mesi dopo il trapianto.
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