Lo afferma uno studio guidato dall’Università di Oslo e pubblicato sulla rivista The Lancet Microbe. La scoperta aiuterà a fermare la diffusione di infezioni resistenti
L’utilizzo di antibiotici, soprattutto smodato e inappropriato, non è l’unico colpevole della nascita dei ‘super-batteri’, ovvero di quei batteri resistenti ai trattamenti, la cui diffusione costituisce un grave problema per la salute pubblica globale. A smentire una convinzione diffusa da molti anni è uno studio guidato dall’Università di Oslo e pubblicato sulla rivista The Lancet Microbe: “L’aumento dell’uso di antibiotici sicuramente amplifica l’affermarsi di questi microrganismi, ma giocano probabilmente un ruolo anche il tipo di farmaco e di batterio, così come l’ambiente ed il paese”, assicurano i ricercatori. La scoperta potrebbe aiutare a pianificare meglio gli interventi di sanità pubblica e a fermare la diffusione delle infezioni resistenti alle cure.
I ricercatori, guidati da Anna Pöntinen, Rebecca Gladstone e Henri Pesonen, hanno analizzato i dati degli ultimi 20 anni provenienti da due paesi, Regno Unito e Norvegia, mettendo a confronto il Dna estratto da 700 nuovi campioni batterici co quello di 5mila vecchi campioni già studiati in precedenza. I risultati mostrano che, in alcuni casi, gli antibiotici aumentano il numero di super-batteri. Tuttavia, ciò dipende da molti fattori: il tipo di farmaco utilizzato, il Dna portato dal microbo in questione, ma anche l’ambiente circostante, vale a dire gli altri batteri presenti e tutto quello che potrebbe indurre a favorire geni che conferiscono resistenza ai trattamenti.
Per fare un esempio, la classe di antibiotici beta-lattamici diversi dalla penicillina viene utilizzata da tre a cinque volte più spesso nel Regno Unito rispetto alla Norvegia e questo ha portato ad un aumento delle infezioni resistenti a questi farmaci nel Paese. Ma lo stesso esito non è stato riscontrato per un altro antibiotico chiamato trimetoprim, che mostra lo stesso schema di utilizzo. Secondo gli autori dello studio, dunque, sono necessari ulteriori ricerche per comprendere appieno l’effetto combinato di antibiotici, viaggi, sistemi di produzione alimentare e altri fattori che determinano i livelli di resistenza ai farmaci in ogni paese.
L’utilizzo degli antibiotici, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha rivoluzionato la medicina moderna, permettendo di trattare e prevenire malattie infettive e infezioni. Conquiste importanti che potrebbero essere vanificate dalla resistenza agli antibiotici. Negli ultimi anni, infatti, il fenomeno dell’antibiotico-resistenza sta via via aumentando, tanto che è attenzionato a livello mondiale. Oggi è uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale con importanti implicazioni sia dal punto di vista clinico (aumento della morbilità, della mortalità, dei giorni di ricovero, possibilità di sviluppo di complicanze, possibilità di epidemie), sia in termini di ricaduta economica per il costo aggiuntivo richiesto per l’impiego di farmaci e di procedure più onerose, per l’allungamento delle degenze in ospedale e per eventuali invalidità. Per questo, negli ultimi decenni, organismi internazionali, quali l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (European Centre for Disease Prevention and Control, ECDC) hanno prodotto raccomandazioni e proposto strategie e azioni coordinate atte a contenere il fenomeno, riconoscendo l’antibiotico-resistenza come una priorità in un ambito sanitario.
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