Salute 17 Gennaio 2024 11:30

Tumore al seno, in meno di cinquant’anni mortalità ridotta del 58%

Successo raggiunto grazie a screening e nuove terapie. Dall’American Society of Clinical Oncology l’indicazione ad offrire il test per i geni BRCA1 e BRCA2 a tutte le donne con cancro al seno fino ai 65 anni

Tumore al seno, in meno di cinquant’anni mortalità ridotta del 58%

Negli Stati Uniti, dal 1975 al 2019, la mortalità per cancro al seno si è ridotta del 58%, passando da 48 a 27 decessi per 100mila donne. I progressi sono da attribuire per il 25% agli screening, per il 29% ai miglioramenti nel trattamento in fase metastatica e per il 47% a quelli negli stadi compresi tra il I e il III. Le percentuali di successo sono emerse da uno studio coordinato dai ricercatori della Stanford University e pubblicato sul Journal of the American Medical Association. La ricerca ha passato in rassegna i dati sulla mortalità per tumore al seno negli ultimi 45 anni, applicando modelli matematici per stimare l’apporto ai progressi da ogni innovazione terapeutica e diagnostica.

Il ruolo dei nuovi farmaci

Una delle scoperte più rilevanti dello studio è che, se i progressi nelle forme più precoci di malattia sono osservabili nel passato più lontano, “i miglioramenti nella sopravvivenza dopo la comparsa di metastasi si sono concentrati in gran parte negli ultimi 10 anni, con un miglioramento medio della sopravvivenza di 1,4 anni”, spiegano gli autori dello studio, in un editoriale pubblicato a corredo della ricerca. Questo risultato è lo specchio di una grande disponibilità di farmaci per le forme metastatiche della malattia: negli ultimi anni ne sono arrivati sul mercato 26, un numero 6 volte più alto rispetto a quelli indicati per le forme precoci.

I tumori ‘più curabili’

Tra le forme tumorali, quelle che hanno goduto di maggiori progressi sono quelle positive per i recettori ormonali, mentre altri tipi di tumore al seno  presentano ancora una mortalità più alta. Anche in questo campo si intravedono, però, novità : “Vale la pena richiamare l’attenzione sull’emergere di promettenti coniugati farmaco-anticorpo nel cancro al seno metastatico, che devono ancora essere approvati per la malattia in stadio iniziale ma mostrano una promessa significativa per il cancro al seno triplo negativo”, dicono gli scienziati.

L’importanza del test per i geni BRCA1 e BRCA2

Affinché questi dati possano non solo consolidarsi, ma anche migliorare ulteriormente, l’American Society of Clinical Oncology e la Society of  urgical Oncology americana hanno emanato nuove linee guida. Tra le principali indicazioni introdotte quella di offrire il test germinale, cioè sul sangue, per i geni BRCA1 e BRCA2 a tutte le donne con una nuova diagnosi di cancro al seno fino ai 65 anni di età e, in casi selezionati, anche successivamente. Si tratta di “importanti  novità”, commenta, a nome della Società Italiana di  Genetica Umana, Emanuela Lucci Cordisco, genetista del Policlinico Gemelli IRCSS di Roma. “È stata infatti sottolineata l’importanza di offrire una  gestione clinica personalizzata ai pazienti e alle pazienti che presentano alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, per i quali l’utilizzo di un farmaco è in grado di fornire  un vantaggio terapeutico”, aggiunge la genetista.

Non solo diagnosi, con test genetici si fa prevenzione

Tuttavia, l’ampliamento dei destinatari del test, può porre dinanzi a nuove problematiche da affrontare. “La nostra opinione è che se anche nel nostro Paese sarà offerto un numero così massiccio di test servirà a trovare un  giusto compromesso tra l’aumento della soglia di età e il carico di lavoro dei laboratori – aggiunge Lucci Cordisco -. La sfida è, a nostro avviso, l’aumento del carico di lavoro dei laboratori e delle richieste di consulenza genetiche. Sarà perciò necessario aumentare il coordinamento tra il team multisciplinare per fornire il test genetico in tempi utili, oggi di circa quattro settimane”. Non solo: questa tipologia di test ha ricadute che possono andare oltre la gestione del cancro al seno. “Può identificare un rischio di poter sviluppare altri tumori, non solo per i pazienti ma anche per alcuni loro familiari. Inoltre – conclude Lucci Cordisco -, identificarlo può portare alla programmazione di una modalità di prevenzione adeguata all’aumentato rischio”,

 

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