I risultati dello studio italiano, pubblicati sulla rivista Cell Reports Medicine, potranno aprire la strada a cure più mirate nell’ottica della nuova oncologia di precisione. Aiuteranno a selezionare meglio i pazienti da sottoporre a chemioterapia, non solo in base all’identikit molecolare delle cellule tumorali, ma anche del microbiota che le circonda
Se in alcuni pazienti il tumore del colon-retto è capace di resistere alla chemioterapia potrebbe essere “colpa” della colibactina, una tossina prodotta da alcuni batteri intestinali. Questa tossina, infatti, è in grado di causare continue mutazioni nel Dna delle cellule, abituandole così a tollerare anche quelle indotte dalle terapie. A dimostrarlo lo studio tutto italiano condotto dai ricercatori dell’Ifom e dell’Università di Torino, grazie al sostegno di Fondazione Airc e Consiglio europeo della ricerca. I risultati, pubblicati sulla rivista Cell Reports Medicine, potranno aprire la strada a cure più mirate nell’ottica della nuova oncologia di precisione. Aiuteranno infatti a selezionare meglio i pazienti da sottoporre a chemioterapia, non solo in base all’identikit molecolare delle cellule tumorali, ma anche del microbiota che le circonda.
I ricercatori si sono focalizzati in particolare su alcune specie di Escherichia coli e altri batteri intestinali in grado di produrre una specifica tossina, chiamata colibactina. “Questa tossina è in grado di provocare la trasformazione delle normali cellule intestinali in tumorali inducendo delle mutazioni, cioè delle alterazioni nella sequenza del loro Dna: lo stesso bersaglio dei chemioterapici usati comunemente in clinica – spiega il coordinatore dello studio Alberto Bardelli, direttore scientifico di Ifom e professore ordinario dell’Università di Torino -. Ci siamo dunque chiesti se ci potesse essere una correlazione, cioè se l’esposizione alla tossina potesse influenzare il modo in cui i tumori rispondono al trattamento”.
Per scoprirlo, “abbiamo coltivato in laboratorio cellule tumorali colorettali e batteri produttori di colibactina, simulando quello che avviene nell’intestino – precisa Alberto Sogari, ricercatore Airc del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e primo autore dello studio -. Abbiamo usato sia linee cellulari sia i cosiddetti organoidi, dei modelli innovativi derivanti da paziente che ricapitolano la struttura tridimensionale dei tumori di origine, e abbiamo studiato l’impatto funzionale della colibactina sulle cellule con tecnologie di sequenziamento e analisi bioinformatiche all’avanguardia. Abbiamo così scoperto che la colibactina funziona come una sorta di palestra per i tumori: questa tossina allena le cellule tumorali a sopportare un carico costante di mutazioni al Dna, abituandole. E così, quando iniziamo il trattamento con un farmaco chemioterapico con un meccanismo simile molto usato in clinica, l’irinotecano, il tumore è già allenato: imparando a sopportare le mutazioni causate dalla colibactina, il tumore impara anche a tollerare il danno dato dalla chemioterapia, diventando così resistente”.
Partendo da questi risultati, “abbiamo cominciato ad analizzare la presenza della colibactina in campioni clinici provenienti da pazienti dell’Ospedale Niguarda di Milano, per correlare la tossina alla risposta clinica ai farmaci – aggiunge Bardelli -. Abbiamo già ottenuto dei primi risultati incoraggianti che confermano le ricadute traslazionali della nostra scoperta”. L’obiettivo, così come annunciato dagli stessi ricercatori, è adesso quello di validare questo approccio su coorti più grandi e rappresentative di pazienti.
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