E’ possibile isolare e ingegnerizzare i linfociti di pazienti affetti da glioblastoma, anche se fortemente trattati con chemio e/o radioterapia, ed utilizzarli in maniera efficiente nella terapia antitumorale come cellule CAR-T ottenute da linfociti di donatori sani. Lo dimostra uno studio italiano pubblicato sulla rivista Nature PJ Precision Oncology
E’ possibile isolare e ingegnerizzare i linfociti di pazienti affetti da glioblastoma, anche se fortemente trattati con chemio e/o radioterapia, ed utilizzarli in maniera efficiente nella terapia antitumorale come cellule CAR-T ottenute da linfociti di donatori sani. Lo dimostra uno studio realizzato dal gruppo di Terapie Cellulari presso i laboratori di Università di Modena e Reggio e dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Nature PJ Precision Oncology.
Negli ultimi anni, le cellule CAR-T hanno rivoluzionato la cura di alcune leucemie e linfomi, affermandosi come una nuova terapia salvavita, un’ultima arma per alcuni gruppi selezionati di pazienti che non rispondono più alle chemioterapie. Questa terapia anticancro rappresenta perfettamente il concetto di medicina personalizzata: usare le cellule immunitarie del paziente (i linfociti), modificate geneticamente in laboratorio, per contrastare la crescita del proprio tumore. Una delle grandi sfide in campo scientifico, è quella di poter utilizzare questa tecnologia anche nell’ambito dei tumori solidi, con la speranza di ottenere risultati importanti come quelli evidenziati in campo ematologico.
Da tempo il laboratorio Terapie Cellulari dell’Università di Modena e Reggio Emilia diretto da Massimo Dominici, docente di Oncologia e direttore della Struttura Complessa di Oncologia medica, si occupa dello sviluppo di cellule CAR-T per tumori solidi, tra cui il glioblastoma, melanoma e microcitoma. Nel nuovo studio i ricercatori hanno potuto isolare in laboratorio sia i linfociti T per modificarli geneticamente, sia le cellule tumorali dalle resezioni chirurgiche degli stessi pazienti. “Abbiamo già da anni esperienza pre-clinica su questo approccio di terapia personalizzata a base di cellule CAR-T”, spiega Dominici. “Si tratta di linfociti T, cellule del sistema immunitario, che vengono modificati in laboratorio per fornire loro un’arma per riconoscere in maniera selettiva la cellula tumorale quando reinfusi nel paziente. Questo studio – continua – fornisce dettagli molto importanti, che completano il nostro lavoro uscito nel 2021 ed è complementare ad altre strategie di terapia genica per i tumori solidi sempre più vicine al paziente”.
“In questo lavoro – dice Chiara Chiavelli, prima autrice dello studio – abbiamo dimostrato come sia possibile isolare e ingegnerizzare i linfociti di pazienti affetti da glioblastoma, anche se fortemente trattati con chemio e/o radioterapia, avvicinandoci allo scenario che si potrebbe prospettare a seguito di un trasferimento in clinica del prodotto. Inoltre, abbiamo evidenziato come queste cellule T modificate del paziente siano in grado di svolgere una attività antitumorale efficiente come cellule CAR T ottenute da linfociti di donatori sani”. Conclude Giacomo Pavesi, docente di Neurochirurgia e direttore della Struttura Complessa di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliero –Universitaria di Modena: “Nonostante i dati prodotti siano stati ottenuti in laboratorio – la loro grande importanza offre molti spunti di riflessione sulla applicazione clinica di questa tecnologia anche per il glioblastoma grazie ad un team multidisciplinare che vedrà chirurghi, oncologi, pediatri e radiologi lavorare assieme per aprire una migliore prospettiva terapeutica per un tumore ancora letale”.
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