È italiana l’unica associazione, in Europa, di famiglie con sindrome COL4A1-A2 ed ha organizzato la prima Conferenza europea sulla patologia. Alla guida due sorelle, mamma e zia di un bambino affetto dalla sindrome: “Associazione non significa piangere insieme, ma lottare insieme”
Quando ci si avvicina alla sindrome COL4A1-A2, malattia rara, conosciuta negli Stati Uniti con il nome di Sindrome di Gould dal ricercatore che per primo l’ha scoperta, viene immediatamente alla mente quell’immagine di manzoniana memoria del ‘vaso di coccio tra i vasi di ferro’. Perché la sindrome di COL4A1-A2 interessa soprattutto, ma non solo, i piccoli vasi cerebrali. Piccoli vasi ‘di coccio’ che basta niente per romperli o ostruirli e, allora, ecco che arriva un ictus ischemico o emorragico. E non in un anziano ma in un bambino, addirittura in epoca perinatale. Ma questa storia della sindrome COL4A1-A2 parte da lontano e merita di essere raccontata. È una storia che nasce da un’intuizione di due medici, un californiano e un italiano, dalla tenacia di una madre e dalla determinazione di una zia, Francesca e Simona e Manodoro rispettivamente vicepresidente e presidente Associazione Famiglie Sindrome COL4A1-A2. La stessa Associazione, unica in Europa, ha organizzato a Roma, al Senato, la prima Conferenza Europea sulla sindrome COL4A1-A2 alla quale hanno preso parte i massimi esperti italiani e mondiali.
“La sindrome COL4A1-A2 è una malattia rara ma anche molto sotto diagnosticata. È difficile per una famiglia arrivare ad una diagnosi perché si manifesta in modo davvero multiforme in quanto colpisce soprattutto a livello cerebrale ma non solo. E non solo i bambini. È complicato per gli stessi medici venirne a capo. E anche una volta avuta la diagnosi è difficile per le famiglie poter gestire la situazione perché gli specialisti da coinvolgere sono tanti e non c’è, ad oggi, una rete. Per questo abbiamo deciso di organizzare questa Conferenza, per fare il punto sulle conoscenze e iniziare a gettare le basi delle Linee Guida”, spiegano Simona e Francesca Manodoro.
Ma il vero protagonista di tutta questa storia è un bambino, Samuele, che da subito ha fatto capire che era sì ‘raro’ ma anche profondamente deciso a non mollare. Samuele nasce 11 anni fa, al termine di una gravidanza normale. Solo alla fine aveva smesso di crescere e per questo il ginecologo aveva deciso di procedere con un taglio cesareo. Va tutto bene. È solo gioia pura. Il bimbo sta bene, l’indice di Apgar è ottimo e così si torna a casa. Il pediatra aveva riscontrato un piccolo soffio al cuore e consiglia Francesca, la mamma, di fare un controllo dopo alcuni mesi. “Ma io tranquilla non sto. Qualcosa mi ronza in testa, Samuele non mi guarda. E così al quinto giorno di vita prenoto una visita cardiologica al Bambin Gesù di Roma. E inizia il nostro lungo calvario. Samuele ha un enorme foro al cuore, viene ricoverato d’urgenza in terapia intensiva e si iniziano a fare gli esami preoperatori. L’unica soluzione sembra essere quella di un intervento, invasivo, a cuore aperto. E’ durante questi accertamenti che si scoprono diverse emorragie cerebrali: Samuele ha avuto più eventi ischemici emorragici. Quando penso di aver davvero toccato il fondo, quando penso che il destino sia stato troppo crudele con mio figlio mi dicono che è cieco da entrambi gli occhi perché ha una cataratta congenita bilaterale così spessa che non vede nemmeno la luce. E’ difficile raccontare che cosa si provi a passare dalla gioia della maternità a tutto questo” racconta Francesca.
Ma non c’è tempo per piangersi addosso. Samuele ha bisogno di un intervento urgente per rimuovere la cataratta, perché per un neonato “imparare a vedere” è fondamentale. Intanto il cuore regge e, quindi, quell’intervento viene rimandato. “Con il senno di poi dico ‘per fortuna’, perché incontro un altro cardiologo che prende in carico Samuele e decide di aspettare: lo tiene sotto controllo ma non lo opera perché il foro secondo lui si chiuderà. E ha ragione, il foro spontaneamente si risolve”, ricorda Francesca. Verso i sei-sette mesi qualcosa cambia, Samuele rinasce perché inizia a vedere. Ha una vista debole, fragilissima ma allo stesso tempo così importante perché è il motore che lo fa crescere, perché accende una curiosità verso il mondo che diventa il segno distintivo di Samuele e che non lo abbandonerà mai. “Nel frattempo, nessuno mi ha saputo dire perché Samuele sta così. È un mosaico di sintomi e di problemi ma nessuno riesce a trovare il capo di questa intricata matassa. Non mi arrendo. E non guardo indietro. Dalla Risonanza magnetica è evidente che Samuele ha un grave problema cerebrale, il lobo destro è quasi mancante. Mi viene detto che probabilmente l’emorragia in quella zona del cervello risale alla prima parte della gravidanza, eppure nessuno si è accorto di questo nelle ecografie eseguite durante quel periodo. Decido di non farmi domande. Decido di pensare solo a mio figlio. Faccio affidamento sulla famiglia, in particolare su mia sorella Simona che è un’altra madre per Samuele. Il padre di Samuele vive all’estero, così, Simona, Samuele ed io facciamo squadra. E facciamo leva sulla nostra tenacia che, evidentemente, è una caratteristica di famiglia. La cartella clinica di Samuele inizia a fare il giro del mondo. Al nostro fianco c’è una neuropsichiatra specializzata nell’area visiva del Policlinico Gemelli di Roma, la dottoressa Ricci, ed è una presenza preziosa. Fino a quando, pressoché in contemporanea, un neuroradiologo californiano ed uno italiano, del Gaslini di Genova, suggeriscono di cercare questa mutazione genetica. Non dimentichiamo che 11 anni fa, quando è nato Samuele, non avevamo la mappatura genetica di oggi e quindi si andava per tentativi, per intuizioni. Scommettiamo su questa ipotesi, il campione di materiale genetico viene mandato in Francia – solo lì si faceva il test – e, finalmente, Samuele ha una diagnosi: mutazione del gene COL4A1. Ma cambia poco. Perché nessuno ne sa nulla, nessuno conosce la cura. E nessuno ha esperienza. Samuele in quel momento ha 18 mesi”, ricorda Francesca.
“Ancora oggi arrivare ad una diagnosi di sindrome del COL4A1-A2 non è immediato – spiega Simona Orcesi, Responsabile del Centro di Neurologia della Prima Infanzia all’Istituto IRCCS Fondazione C.Mondino di Pavia e Professore Associato in Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Pavia – perché è necessario che qualcuno metta insieme il puzzle dei tanti sintomi e decida di andare a cercare una possibile causa genetica. Il primo campanello d’allarme viene dai sintomi e dalla risonanza magnetica ma la conferma viene solo dalla genetica, oggi dall’analisi Ngs (Next Generation Sequencing). Ci sono pazienti in cui, grazie a questa analisi genetica che è in grado di analizzare tutto il DNA codificante (il cosiddetto “esoma”), è stata trovata la mutazione del gene COL4A1 o COL4A2 anche se non si stava cercando proprio questa in particolare, perché nessuno ci aveva pensato. Il quadro è così complesso e allo stesso tempo così sconosciuto che non esiste una casistica ben definita che ci permette di classificare sintomi e decorso. Allo stato attuale riteniamo che nei bambini con cataratta congenita precoce, emorragia cerebrale perinatale senza una causa o calcificazioni cerebrali, per esempio, è opportuno sospettare la sindrome COL4A1/A2. A volte davanti ad un neonato con emorragia cerebrale ci si limita a dare la colpa ad un parto difficile e non si indaga ulteriormente”.
Questa sindrome è un nemico che attacca su più fronti. Possono essere interessati cervello, occhi, reni, muscoli. A volte non succede nulla per tutta la vita e non si sa di avere il problema, altre invece provocano danni irreversibili. Ci sono neonati che hanno un solo ictus ischemico o emorragico e altri bambini che hanno ricorrenze. A volte si manifesta con la cataratta congenita, altre con epilessia, altre ancora senza un deficit visivo periferico ma con problemi cerebrali, ecc. Un solo sintomo oppure tanti sintomi o addirittura nessuno. “Il quadro è così complesso e allo stesso tempo così sconosciuto che non esiste ancora una casistica ben definita che ci permette di classificare sintomi e decorso clinico – la cosiddetta ‘storia naturale di malattia’. Allo stato attuale riteniamo che nei bambini con cataratta congenita precoce, emorragia cerebrale prenatale senza una causa o calcificazioni cerebrali, per esempio, è bene indagare con test genetici e sospettare la sindrome COL4A1/A2. A volte davanti ad un neonato con emorragia cerebrale ci si limita a dare la colpa ad un parto difficile e non si indaga ulteriormente”, aggiunge Simona Orcesi.
La difficoltà nella diagnosi della sindrome COL4A1-A2 è proprio nella sua varietà di sintomi e localizzazioni. Interessa il gene COL4A1 o COL4A2 (collagene di tipo IV alfa 1 e alfa 2), componente principale di quasi tutte le membrane basali. Per questo causa un disturbo che può colpire qualsiasi organo anche se, tipicamente, si associa alla malattia dei piccoli vasi cerebrali. È un disordine trasmesso come carattere autosomico dominante, cioè si eredita una copia normale di un gene da un genitore e una copia mutata dall’altro genitore (spesso clinicamente sano). Ma ci sono anche casi di mutazione “de novo” dove, cioè, la mutazione non è presente nei genitori. Come nel caso di Samuele.
Caparbie come sempre, Francesca e Simona iniziano a cercare in rete. Scoprono un’associazione americana, che poi nel tempo non sarà più operativa, e iniziano a cercare altre famiglie. All’inizio sono solo in tre ma è già tanto. Significa che non sono più sole. “Samuele entra nella schiera dei malati rari. I medici continuano a non darmi risposte perché non conoscono la malattia. I sintomi sono tanti, gli organi coinvolti diversi e nessuno che tira le fila. Consultiamo tutti gli specialisti che possiamo. E’ una lunga trafila ed è spesso frustrante. Perché a volte ci si siede e ci si rende conto di essere gli unici esperti in quella stanza, perché di casi come Samuele non ce ne sono in Letteratura. Ed è pesante da accettare”, dice Francesca.La diagnosi, che si sperava fosse un punto di approdo, in realtà si dimostra un punto di partenza. Sono in balìa di ogni medico, di ogni specialista. Nessuno sa dire in che direzione andare, a cosa stare attenti, cosa fare ma soprattutto cosa aspettarsi. Su una cosa sono tutti d’accordo: non solo non c’è una cura ma non c’è nemmeno ricerca. “Da allora sono passati molti anni. Molti anni difficili nei quali più volte abbiamo rischiato di perdere Samuele. Ma lui è caparbio. Oggi ha 11 anni e la curiosità verso la vita non lo ha mai abbandonato. Grazie a strumenti tecnologici riesce ad alimentare la sua curiosità nonostante sia un ipovedente grave e in via di peggioramento. Adora le lingue straniere e ha un modo tutto suo di esprimersi che è meraviglioso, è trascinante, è vitale”, dice Francesca con commozione ed orgoglio. Nel 2021 Francesca e Simona decidono di dare vita all’Associazione Famiglie COL4A1-A2. “Ci siamo rese conto da subito che serve fare rete – spiega Simona Manodoro, Presidente dell’Associazione e zia di Samuele- non volevamo che altri fossero smarriti come lo siamo state noi. Perché ‘rara’ non fosse il sinonimo di ‘sola’, perché questa sindrome è molto sotto diagnosticata e per questo sono ancora tante le persone che non hanno dato un nome e una causa alla loro malattia. In Europa siamo la prima e unica Associazione. Oggi in contatto con l’Associazione ci sono meno di 30 famiglie, ma siamo sicure che ce ne sono molte di più. È stata una decisione naturale, sapevamo che era la cosa giusta da fare: nessuno tirava le fila? Lo avremmo fatto noi”. Un progetto ambizioso ma che non le spaventa. E, ancora una volta, fanno squadra. “All’Associazione serve dedicare molto tempo e cura e per questo con Francesca, abbiamo deciso che io sarei stata Presidente e lei Vicepresidente. Nella vita lei è la mamma di Samuele e io la vicemamma. Conciliare la cura di Samuele con l’Associazione e con una vita professionale non è facile. Ma ne vale la pena. Perché fare rete non significa ‘piangere insieme’ tutt’altro. Significa ‘lottare insieme’, significa scambio di informazioni, anche tra medici, e di esperienze. Significa, come famiglie, diventare ‘vasi di ferro’ per fare fronte a questa sindrome. Significa avere speranza”, conclude Simona.
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