Il Centro di ricerche cliniche per le malattie rare ‘Aldo e Cele Daccò’ di Ranica (Bergamo), dell’Istituto Mario Negri Irccs, è stato il primo, più di 30 anni fa, a occuparsi di patologie orfane. Il bilancio del progetto
Le malattie rare colpiscono una persona ogni 2mila, con oltre un milione di italiani che ne soffrono. Sono più di 7mila quelle note. Ma almeno il 6% dei malati rari è orfano di diagnosi, un dato che arriva al 40% nelle persone con disabilità. Lo sottolinea l’Istituto Mario Negri Irccs, il cui Centro di ricerche cliniche per le malattie rare ‘Aldo e Cele Daccò’ di Ranica (Bergamo) è stato il primo, più di 30 anni fa, a occuparsi di patologie orfane. Pioniere in un’Italia in cui per questi pazienti non esisteva quasi nulla, mentre in Europa erano pochi a rispondere ai loro bisogni. Oggi l’impegno del centro continua per dare nome alle malattie rare che ancora non ce l’hanno, guidando un gruppo che ha ‘regalato’ una diagnosi a un paziente orfano su tre.
All’interno dell’Undiagnosed Network Program Italy (Udnp Italy), rete dedicata ai pazienti rari adulti senza diagnosi, di cui fa parte l’Irccs Mario Negri, l’istituto ha coordinato un progetto in collaborazione con il Centro multidisciplinare di immunopatologia e documentazione sulle malattie rare di Torino e l’Istituto superiore di sanità. Conclusa a fine 2023, l’iniziativa ha permesso di analizzare 273 casi di pazienti adulti senza diagnosi – informano dal Mario Negri, in vista della Giornata delle malattie rare in calendario il 29 febbraio – arrivando a definire una malattia geneticamente determinata in 89 casi. Il risultato è stato possibile grazie a una valutazione multidisciplinare da parte degli enti coinvolti e all’avvio di indagini genetiche mirate.
“Questo ambizioso risultato, pari al 33% dei casi analizzati – commenta Ariela Benigni, segretario scientifico dell’Istituto Mario Negri e coordinatore delle ricerche per le sedi di Bergamo e Ranica – sottolinea l’importanza di una rivalutazione periodica dei pazienti adulti senza diagnosi, alla luce dei costanti progressi nelle tecniche di indagine molecolare. Il tasso di successo diagnostico nella popolazione studiata, affetta da malattie di sospetta origine genetica, è stato altamente significativo considerando le caratteristiche (adulti con età media superiore ai 40 anni) e la lunga storia di malattia che nel tempo li ha costretti a numerosi consulti in più centri specialistici in diverse regioni d’Italia”. Per Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri, “i risultati del progetto sono ancora più importanti se consideriamo che il network si focalizza in particolare sui pazienti adulti con nefropatie non diagnosticate, in vista di un futuro trapianto di rene: la diagnosi consente infatti in questi casi di stabilire l’opzione più adeguata (trapianto da donatore vivente o deceduto, eventuale compatibilità con un consanguineo), influenzando la probabilità di successo dell’intervento”.
La ricerca del Mario Negri in questo ambito prosegue e, come spiegato dallo stesso Centro di ricerca in una nota, vede già impegnato l’istituto attraverso il progetto Anthem, finanziato dal Piano complementare al Pnrr, in collaborazione con altri 22 enti italiani, che ha avuto un primo meeting scientifico a Bergamo nei giorni scorsi. “Lo studio delle malattie rare è una priorità di sanità pubblica, perché tutti gli ammalati hanno il diritto di avere lo stesso tipo di trattamento – afferma Erica Daina, responsabile del centro di Ranica -. Ma ha anche un interesse scientifico che va al di là di questo. Proprio attraverso lo studio delle malattie rare si è infatti arrivati a comprendere molti dei meccanismi che regolano le patologie più comuni. Tutto questo – conclude – va ad avallare l’importanza di sostenere le malattie rare che oggi sono orfane di fondi”.
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