“La malattia renale cronica affligge il 10% della popolazione mondiale e interessa attualmente più di 800 milioni di individui. Sempre più diffusa, è fondamentale la sua diagnosi precoce e l’individuazione dei soggetti a rischio per modificare efficacemente sia lo stile di vita sia per attuare le terapie farmacologiche necessarie a contrastare la sua insorgenza e a rallentarne la sua progressione”. Lo afferma Annalisa Noce, professore associato di Nefrologia presso l’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, in occasione della Giornata Mondiale del Rene che si celebra il prossimo 14 marzo
“La malattia renale cronica affligge il 10% della popolazione mondiale e interessa attualmente più di 800 milioni di individui. Sempre più diffusa, è fondamentale la sua diagnosi precoce e l’individuazione dei soggetti a rischio per modificare efficacemente sia lo stile di vita sia per attuare le terapie farmacologiche necessarie a contrastare la sua insorgenza e a rallentarne la sua progressione”. Lo afferma Annalisa Noce, professore associato di Nefrologia presso l’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, in occasione della Giornata Mondiale del Rene che si celebra il prossimo 14 marzo.
“Negli ultimi 20 anni, la malattia renale cronica ha rappresentato una causa emergente di mortalità. Infatti, si stima che nel 2040 diventerà la quinta causa di morte al mondo”, spiega Noce. “È maggiormente prevalente nei soggetti anziani, nelle donne, nelle minoranze etniche e nei soggetti affetti da diabete mellito e da ipertensione arteriosa. Pertanto è fondamentale mettere in atto strategie finalizzate a sensibilizzare la popolazione alla sua prevenzione e alla sua diagnosi precoce. Spesso la malattia renale cronica – continua – è asintomatica e rimane misconosciuta anche per anni. Per porre la sua diagnosi è necessario sottoporsi a un prelievo ematico, al fine di determinare la velocità di filtrazione glomerulare, e ad un esame delle urine, per valutare la presenza di albuminuria o proteinuria”.
La malattia renale cronica si associa ad un aumentato rischio cardiovascolare, infatti uno studio ha dimostrato che un paziente affetto da malattia renale cronica terminale, di età compresa tra 25-35 anni, presenta un rischio di mortalità cardiovascolare aumentato rispetto ad un soggetto ultraottantacinquenne della popolazione generale. “Oltre alle complicanze cardiovascolari, tale condizione patologica induce alterazioni a carico del sistema nervoso”, dice Noce. “Infatti, uno studio ha dimostrato che i pazienti affetti da malattia renale cronica, sia di stadio lieve che avanzato, presentano un rischio più elevato di sviluppare disordini cognitivi e demenza. Tale fenomeno – continua – è correlato a una serie di fattori di rischio tra cui l’ipertensione arteriosa e il diabete mellito e ad una più alta prevalenza di eventi ischemici sia sintomatici che latenti. È stato dimostrato infatti che l’accumulo di sostanze tossiche, dovuto alla loro ridotta escrezione da parte dei reni, induce un danno neuronale diretto”.
È stato descritto un asse rene-cervello il cui legame è supportato dallo stato infiammatorio sistemico che caratterizza i pazienti con questa patologia. In corso di malattia renale cronica, si osserva una aumentata produzione di sostanze infiammatorie, denominate “citochine”, e dei ROS (specie reattive dell’ossigeno) che causano il fenomeno della neuroinfiammazione con conseguente alterazione della barriera ematoencefalica ed attivazione di cellule immunitarie locali che innescano i processi infiammatori, non solo a livello sistemico, ma anche a livello cerebrale, contribuendo allo sviluppo di patologie neuropsichiatriche. “Con queste conoscenze in mano, ci si sta concentrando sull’utilizzo di molecole efficaci e sicure che abbiano come target questi elementi cellulari del sistema immunitario, nel contesto della neuro-infiammazione cronica di basso grado”, sottolinea Noce.
“Da tempo sono state identificate sostanze in grado di regolare i mastociti e la microglia. La PEA (palmitoiletanolamide) è un lipide naturale, nel senso che è presente in numerose fonti alimentari (per esempio la soia o il tuorlo d’uovo), ma è anche un componente dei sistemi finalizzati al mantenimento dell’omeostasi del nostro organismo”, evidenzia Noce. “PEA, infatti, regola l’eventuale eccesso di risposta neuro-infiammatoria e garantisce il mantenimento e/o il recupero dell’omeostasi tissutale. Gli effetti di PEA ultra-micronizzata, nel contrastare gli stati neuro-infiammatori persistenti, sono stati dimostrati in numerosi studi sull’uomo”, conclude.
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