Contributi e Opinioni 18 Luglio 2017 11:56

Tatuaggi all’hennè? Nel 50% dei casi causano dermatiti: lo studio dell’Università di Perugia

Belli, indolori e soprattutto “a tempo”. I tatuaggi all’hennè sono ogni estate una forte tentazione soprattutto per bambini e adolescenti, una pratica in realtà che ha origini antichissime nei Paesi orientali e nell’Africa settentrionale. Ma a rivelarne il rischio per la pelle dei nostri bambini e ragazzi è uno studio realizzato dall’Università degli Studi di Perugia, recentemente pubblicato sulla rivista “International Journal of Environmental Research and Public Health”. «L’uso di tatuaggi temporanei all’hennè – evidenzia la prof.ssa Susanna Esposito, professore ordinario dell’Università degli Studi di Perugia e presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici, WAidid – è ormai una moda molto diffusa nel nostro Paese soprattutto in estate. I tatuaggi sembrano innocui ma non lo sono. Da evidenze scientifiche emerge, infatti, che la sostanza chiamata para-fenilendiammina (PPD) che spesso viene aggiunta all’hennè naturale per ottenere un colore più scuro e duraturo, per le sue caratteristiche molecolari può indurre sensibilizzazione cutanea con varie manifestazioni cliniche alle ri-esposizioni, tra cui la più comune è la dermatite allergica da contatto. Nelle persone allergiche al composto, in particolare, il tatuaggio temporaneo può scatenare reazioni violente con gonfiore e rossore, mentre in chi ha una pelle molto sensibile e delicata può dare origine a una dermatite irritativa più lieve, ma altrettanto fastidiosa».

Secondo i risultati emersi, nel 50% dei casi presi in esame i tatuaggi all’hennè provocano manifestazioni cutanee come prurito, eritemi, vescicole e bolle, orticarie, o reazioni sistemiche come linfoadenopatie e febbre entro uno o due giorni dalla prima applicazione; nel restante 50%, invece, i sintomi compaiono solo dopo un ritocco – mostrando quindi una sensibilizzazione cutanea alla para-fenilendiammina (PPD) presente nell’hennè – fino a 72 ore dall’effettuazione del tatuaggio. La necessità di terapie di lunga durata è un altro fattore che emerge dallo studio: nella maggior parte dei casi, la persistenza delle lesioni è stata riscontrata anche a 7 giorni dall’inizio della terapia con cortisone e antistaminici e una persistente discromia cutanea è stata osservata anche dopo 4 settimane dalla fine della terapia. Se certamente si arriva alla risoluzione del prurito e ad un miglioramento delle lesioni cutanee, in tutti i casi, secondo i dati emersi, ad un anno di distanza è riscontrabile una ipopigmentazione cutanea sulla zona dedicata al tatuaggio.

D’altronde, la para-fenilendiammina (PPD) è uno dei più potenti allergeni da contatto. Si tratta di un colorante blu scuro attualmente vietato, secondo la legislazione europea, per uso cosmetico ad eccezione delle tinture per capelli per le quali è consentita a basse concentrazioni, fino al 6%. Oltre a questa restrizione, è previsto che siano sempre indicate sull’etichetta delle avvertenze, come «Può causare una reazione allergica», «Contiene fenilendiammina», «Per uso professionale», «Usare guanti idonei», «Non usare per tingere ciglia e sopracciglia».

«La sensibilizzazione alla PPD – avverte Susanna Esposito – è un fenomeno in crescita nei bambini e negli adolescenti. La causa più comune sembra essere proprio l’esposizione ai tatuaggi con hennè in cui la PPD può essere presente in concentrazioni sconosciute o alte. Dopo la sensibilizzazione, i pazienti possono sperimentare gravi sintomi clinici quando vengono ri-esposti a sostanze che contengono o reagiscono con PPD, e possono presentare un’ipopigmentazione persistente. Dato l’uso diffuso di questa sostanza, meglio essere cauti considerando che sono molti i giovani che acquistano kit venduti on line, privi di qualsiasi garanzia, oppure si affidano a tatuatori improvvisati sulle spiagge che usano materiali scadenti e potenzialmente rischiosi».

 

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