I sindacati: «Procedure, materiali e formazione carenti. Camici bianchi da tutelare». Lievi progressi allo “Spallanzani” per l’infermiere contagiato. Nuovi soggetti in isolamento
Qualcosa non ha funzionato nella gestione del secondo paziente italiano contagiato dall’Ebola? L’Asl 1 di Sassari ha aperto un’inchiesta interna per verificare che tutte le procedure previste dal caso siano state rispettate: sia all’arrivo in ospedale dell’infermiere 37enne sia durante la degenza prima che venisse confermato il virus. In attesa dei riscontri, salgono comunque a 19 le persone in isolamento. Oltre alla madre e le sorelle dell’operatore di Emergency contagiato in Sierra Leone, in isolamento c’è il personale che ha partecipato alle operazioni di trasporto, quello che lo ha tenuto sotto controllo all’ospedale di Sassari ed anche quattro tecnici del laboratorio che ha eseguito le analisi. Così mentre all’Istituto Nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma si registrano lievi miglioramenti del “paziente 2” (IL BOLLETTINO), con il ministro Lorenzin che ha riferito che presto potrebbe essere dichiarato fuori pericolo, in Sardegna ad animare il dibattito è soprattutto la gestione del caso.
L’affondo più pesante è stato quello della Federazione Sindacati Indipendenti (FSI), che ha parlato – sulle colonne della Nuova Sardegna – senza mezzi termini di “pessima e superficiale gestione”. Secondo il segretario territoriale Mariangela Campus “dirigenti, posizioni organizzative e tecnici non erano stati informati dell’arrivo nel laboratorio di via Monte Grappa dei campioni di sangue del paziente affetto da Ebola”. Ma nel complesso ciò che denuncia la FSI è un vero e proprio cortocircuito di comunicazione, elencando una lunga lista di criticità: “non c’era alcuna possibilità di lavorare i campioni per l’assenza di kit di trasporto chiuso previsti nelle linee guida del Ministero della Salute; inoltre – prosegue Campus – la centrifuga della macchina delle analisi sarebbe stata contaminata, impedendo così di analizzare gli altri campioni in attesa. E infine il protocollo da utilizzare in questi casi è assente e dunque nessuna tuta protettiva, reparti con pazienti in terapie anticoagulanti esposti al rischio”.
Sostanzialmente la sindacalista contesta il fatto che il campione di sangue potenzialmente infetto sia usciti dal reparto di Malattie Infettive per andare in un laboratorio di analisi non attrezzato. In più Mariangela Campus parla di “personale terrorizzato, che non si sente tutelato sul luogo di lavoro. Chiediamo all’azienda di valutare i rischi a cui sono stati esposti gli operatori sanitari che hanno manipolato o trasportato le provette”.
“Abbiamo avuto rassicurazioni sul rispetto di tutti i protocolli, in grado di garantire sicurezza nei riguardi di tutti. Siamo in costante contatto con il prefetto e con l’Unità di crisi e collaboriamo con loro, sapendo che l’emergenza è stata affrontata professionalmente per assicurare la salute collettiva”, ha risposto il sindaco di Sassari, Nicola Sanna dopo che il Ministero della Salute aveva detto che tutti i protocolli “erano stati rispettati”. Nonostante le rassicurazioni, nei corridoi dell’ospedale di Sassari si avverte una certa apprensione, che aumenta con le notizie relative ai nuovi casi d’isolamento. E le parole degli esperti della materia non aiutano. Francesco Menichetti, primario del reparto malattie infettive di Pisa, ha ricordato che “fin dal momento nel quale viene attivata l’Unità di crisi regionale, in Toscana si può contare su ambulanze del 118 già munite dei macchinari e degli spazi per il trasporto dei pazienti, che devono viaggiare all’interno di tende isolate.
Il primario ricordando che “Il rischio-contagio esiste solo dalla fase in cui il paziente accusa i primi sintomi, che per Ebola coincidono soprattutto con la febbre alta” evidenzia però che “per prelievi ed esami siano necessari contenitori speciali e che le analisi debbano venire segnalate non come generiche ma dedicate”. Menichetti conclude la sua intervista alla Nuova Sardegna, affermando: “Mi parrebbe tuttavia poco verosimile che i tecnici sardi di laboratorio non siano stati avvertiti del sospetto anche perché la stessa provenienza dei campioni da un reparto infettivi dovrebbe sempre spingere alla cautela”.