L’assistenza medico-generica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino, e a nulla rileva il fatto che ciò sia in contrasto con gli accordi collettivi nazionali del 23 marzo 2005 e 29 luglio 2009 i quali prevedono che l’assistenza sanitaria […]
L’assistenza medico-generica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino, e a nulla rileva il fatto che ciò sia in contrasto con gli accordi collettivi nazionali del 23 marzo 2005 e 29 luglio 2009 i quali prevedono che l’assistenza sanitaria sia organizzata in via prioritaria per ambiti comunali (ai sensi dell’art. 25 della legge 23 dicembre 1978, n. 833).
La norma, come deciso dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3261 del 4 luglio 2017, stabilisce che il servizio può essere organizzato per unità sanitarie locali o per comuni, ma non stabilisce affatto che quest’ultima è l’unica organizzazione possibile. Di conseguenza, solo l’organizzazione dell’assistenza su base comunale consacrata in specifici atti di programmazione può impedire ai sanitari di base di acquisire pazienti al di fuori del proprio ambito comunale.
In assenza di un atto di programmazione dell’assistenza su base comunale, il territorio in cui può operare il medico di base è illimitato nell’ambito della zonizzazione dell’Asl di riferimento. Se così non fosse ci sarebbe un’evidente disparità di trattamento tra cittadini e sanitari di grossi centri e quelli residenti in piccoli comuni ai quali ultimi verrebbe attribuito un bacino di utenza più limitato con evidenti conseguenze sul libero esplicarsi dell’attività professionale e sui profili della capacità e dell’esperienza del medico.