Terregino (IZSV): “La situazione è in continua evoluzione e noi la stiamo seguendo attivamente attraverso le organizzazioni sanitarie internazionali: non si devono fare allarmismi, ma semplicemente continuare a monitorare con la dovuta attenzione gli eventi ed essere preparati”
“E’ importante valutare con attenzione i fattori di rischio per una potenziale pandemia influenzale e adottare le relative misure di mitigazione”. Così Calogero Terregino, responsabile del Laboratorio nazionale ed europeo per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, in una nota diffusa da Fondazione Inf-Act, commenta il Rapporto scientifico con cui l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), il Laboratorio di riferimento dell’Unione europea per l’influenza aviaria (Eurl) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) avvertono che il virus dell’influenza aviaria continua a diffondersi nell’Ue e in altre parti del mondo, causando un’elevata mortalità tra gli uccelli selvatici e salti di specie nei mammiferi selvatici e domestici.
“Le autorità degli Stati Uniti – ricorda Terregino – hanno recentemente emesso un allarme sanitario sul primo caso confermato di infezione umana dovuta al virus dell’influenza aviaria che si è diffuso tra i bovini da latte. In Italia e in Europa, al momento, non ci sono stati casi di contagio nei bovini o nell’uomo” e, “in considerazione delle caratteristiche del virus responsabile di questi casi, l’attuale rischio per la popolazione rimane basso”. Tuttavia “la situazione è in continua evoluzione e noi la stiamo seguendo attivamente attraverso le organizzazioni sanitarie internazionali: non si devono fare allarmismi – precisa l’esperto – ma semplicemente continuare a monitorare con la dovuta attenzione gli eventi ed essere preparati”.
“Possiamo e dobbiamo far tesoro dell’esperienza di Covid-19, anch’essa nata da una zoonosi, ossia da un virus che ha fatto un salto di specie passando da animale a uomo – afferma Federico Forneris, presidente della Fondazione Inf-Act -. In Italia esistono le conoscenze e le competenze, ma serve un maggiore coordinamento per metterle in connessione. Per aumentare la capacità di prevenire certi eventi (con la sorveglianza nei serbatoi animali di patogeni dal potenziale zoonotico), la prontezza e la capacità di risposta dei sistemi sanitari e, in ultima analisi, la resilienza e la resistenza dell’Italia nei confronti di eventi epidemici e pandemici, con la Fondazione stiamo facendo proprio questo: raccordare le attività di ricerca di 25 partner del progetto Inf-Act, con circa 500 ricercatori impegnati su 5 macro-temi di ricerca, distribuiti in 15 atenei e 9 enti di ricerca pubblici e privati e un’azienda su tutto il territorio nazionale”.
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