Un punto di screening e cura preventiva della Tbc nei grandi centri di accoglienza e smistamento dei migranti in Italia, anche sotto forma di clinica mobile. A lanciare la proposta è Luigi Ruffo Codecasa dell’Istituto Villa Marelli‐ospedale Niguarda di Milano, responsabile del Centro regionale di riferimento per la tubercolosi in Lombardia, nel corso del congresso nazionale AIPO […]
Un punto di screening e cura preventiva della Tbc nei grandi centri di accoglienza e smistamento dei migranti in Italia, anche sotto forma di clinica mobile. A lanciare la proposta è Luigi Ruffo Codecasa dell’Istituto Villa Marelli‐ospedale Niguarda di Milano, responsabile del Centro regionale di riferimento per la tubercolosi in Lombardia, nel corso del congresso nazionale AIPO (Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri) a Bologna. La tbc in Italia “è sostanzialmente in calo, anche se lentamente‐ spiega Codecasa, parlando alla Dire a margine del congresso‐ ed è una malattia ormai rara”. Sono circa 4.000 i nuovi casi di tubercolosi all’anno, ma “ci sono sacche di sotto notifica importante”. Ovvero, segnala l’esperto, “qualche centinaio di casi non individuati per insufficienza delle diagnosi”. Non tutti coloro che sono infetti, del resto, sviluppano poi la malattia. Non individuarli, però, significa permettere che il batterio si diffonda.
“Uno dei motivi di preoccupazione‐ spiega Codecasa‐ è rappresentato dall’inadeguatezza del Paese ad affrontare in maniera organica alcune problematiche, come quella dei rifugiati”. Il timore deriva dal fatto che “non c’è omogeneità di intervento a livello nazionale”. Tra i migranti che sbarcano sulle coste italiane, sottolinea il medico, “non sono tantissimi” quelli che arrivano presentando già i sintomi della malattia, venendo subito presi in carico. Ma, avverte Codecasa, “servirebbe più attenzione sulla diagnostica“, in particolare quando i migranti vengono “sistemati nei centri di prima accoglienza.
In Emilia‐Romagna il sistema funziona perchè tutti transitano dall’hub, dove viene effettuato lo screening‐ spiega il medico‐ in altre realtà, invece, come a Milano, la congestione degli arrivi è talmente elevata che spesso la prima accoglienza viene bypassata, con l’invio dei profughi in altre strutture”. Questo, dal punto di vista sanitario, crea il problema di dover “organizzare lo screening per tutti”, con un conseguente allungamento dei tempi, visto che dopo il test iniziale di Mantoux, se positivo, la diagnostica successiva viene fatta in laboratorio. “Io riesco a fare al massimo 10 persone al giorno‐ fa l’esempio Codecasa‐ se ne sono arrivate 200, ci impiegherò almeno 20 giorni”.
E così accade non di rado che i richiedenti asilo “ottengano lo status e si spostino in altri Paesi prima di aver effettuato le cure preventive”. La soluzione, secondo Codecasa, è dunque creare “nei grandi centri di accoglienza e smistamento una sorta di ‘Tbc stop point’, anche sotto forma di clinica mobile”, dove riuscire completare la diagnosi e fare la cura preventiva in tempi rapidi e soprattutto nello stesso luogo. Dal punto di vista della prevenzione, invece, si sta ancora studiando un nuovo vaccino per la Tbc, in sostituzione di quello inventato 100 anni fa che non garantisce la copertura totale. “Va dal 30 all’80% e dopo 10 anni decade”, spiega Codecasa, tant’è vero che molti di coloro che si ammalano “sono già stati vaccinati”. Ad oggi però la ricerca scientifica “continua a sbattere contro un muro.
Anche di recente si sono registrati alcuni fallimenti‐ afferma il medico‐ perchè il batterio della Tbc è più complesso degli altri e non si riesce ancora a trovare l’equilibrio tra l’efficacia e la tossicità del vaccino.
Fonte: Agenzia DIRE
Ufficio Stampa AIPO