Salute 23 Aprile 2024 14:10

Tumore delle vie biliari: durvalumab, più chemioterapia, raddoppia tasso di sopravvivenza globale

Nello studio di fase III TOPAZ-1 l’anticorpo monoclonale durvalumab, insieme alla chemioterapia, in tre anni ha raddoppiato il tasso di sopravvivenza globale dei partecipanti con tumore delle vie biliari. Inoltre ha ridotto il rischio di morte del 26% rispetto alla sola chemioterapia. Il tumore delle vie biliari è una patologia rara ma in costante crescita, con circa 5.400 nuovi casi stimati ogni anno in Italia

di Marco Landucci
Tumore delle vie biliari: durvalumab, più chemioterapia, raddoppia tasso di sopravvivenza globale

I risultati esplorativi dello studio di Fase III TOPAZ-1 dimostrano che durvalumab, in combinazione con la chemioterapia, ha prodotto un beneficio clinicamente significativo di sopravvivenza globale (OS) a lungo termine a tre anni nei pazienti con tumore delle vie biliari (BTC) avanzato. Durvalumab è un anticorpo monoclonale umano diretto a PD-L1 che blocca l’interazione di PD-L1 con PD-1 e CD80, contrastando i meccanismi di immuno-evasione messi in atto dal tumore e consentendo la riattivazione del sistema immunitario.

I risultati dello studio TOPAZ-1 – che rappresentano il più esteso follow-up di sopravvivenza mai riportato in uno studio globale randomizzato di Fase III in questo setting – sono stati presentati nel corso della Cholangiocarcinoma Foundation Conference 2024 a Salt Lake City, Utah, che si è svolta recentemente.

I dati

A più di tre anni (follow-up mediano di 41,3 mesi), durvalumab, in combinazione con la chemioterapia, ha ridotto il rischio di morte del 26% rispetto alla sola chemioterapia ([HR] 0,74; intervallo di confidenza [CI] 95%, 0,63-0,87). La sopravvivenza globale mediana era di 12,9 mesi con durvalumab più chemioterapia rispetto a 11,3 mesi con la sola chemioterapia. Più del doppio dei pazienti con il regime a base di durvalumab era vivo a tre anni rispetto alla sola chemioterapia (14,6% rispetto a 6,9%).

Lo studio TOPAZ-1, nell’analisi ad interim dell’ottobre 2021 , ha raggiunto l’endpoint primario di sopravvivenza globale, dimostrando che la combinazione ha ridotto il rischio di morte del 20% rispetto alla sola chemioterapia ([HR] 0,80; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,66-0,97; p = 0,021 con una soglia di significatività statistica di 0,03).

Durvalumab più chemioterapia ha continuato ad essere ben tollerato, senza nuove reazioni avverse osservate al follow-up più esteso. I risultati mostrano che il 15,4% dei pazienti ha sviluppato eventi avversi legati al trattamento con durvalumab più chemioterapia rispetto al 17,3% con la sola chemioterapia.

I commenti

“Il tumore delle vie biliari è una patologia rara ma in costante crescita, con circa 5.400 nuovi casi stimati ogni anno in Italia – spiega Carmine Pinto, Direttore dell’Oncologia Medica del Comprehensive Cancer Centre, AUSL-IRCCS di Reggio Emilia – Non esistono test di screening o esami diagnostici di routine in grado di identificare la malattia in fase iniziale, quando è ancora possibile un’asportazione chirurgica. Le difficoltà legate alla mancanza di sintomi specifici conducono troppo spesso a diagnosi in fase avanzata. Solo circa il 30% dei pazienti è candidato alla chirurgia. Per i pazienti con malattia avanzata, che non possono essere operati o con metastasi, oggi abbiamo una nuova possibilità terapeutica: combinare l’immunoterapia con durvalumab alla chemioterapia con cisplatino e gemcitabina, che ha rappresentato il regime utilizzato da oltre un decennio. I dati aggiornati dello studio TOPAZ-1, con un più lungo follow-up, mostrano a 3 anni una riduzione del 26% del rischio di morte per i pazienti con tumore delle vie biliari in stadio avanzato trattati con durvalumab e chemioterapia rispetto alla sola chemioterapia, con il doppio dei pazienti viventi. Un progresso particolarmente significativo in un setting di patologia neoplastica in cui la prognosi è storicamente sfavorevole. Questi risultati rafforzano il beneficio a lungo termine della combinazione comprendente l’immunoterapia come standard di cura in prima linea per i pazienti con malattia avanzata. Dopo oltre un decennio senza reali progressi, anche per i pazienti con tumori delle vie biliari abbiamo un miglioramento in termini di possibilità di sopravvivenza, un risultato molto importante mai ottenuto finora”.

“Il miglioramento portato dal durvalumab nei dati di sopravvivenza a tre anni in pazienti con tumore delle vie biliari avanzato è una buona notizia – afferma Paolo Leonardi, Presidente Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma (APIC) – e un risultato che accresce la speranza nella ricerca delle cure per i pazienti con questi tumori rari e difficili da trattare. Il percorso che porta alla diagnosi è troppo spesso tardivo, rendendo ancor più drammatica la vita delle persone che la ricevono. Due cose ci sembrano fondamentali: che si diffonda la conoscenza della malattia, così che si arrivi a sospettarla prima, e che chi ha una diagnosi di colangiocarcinoma sia indirizzato precocemente a centri di riferimento, dove è possibile una presa in carico completa da parte di un team multidisciplinare dedicato, in grado di definire al meglio il percorso diagnostico e terapeutico”.

“TOPAZ-1 ha alzato lo standard per il trattamento del tumore delle vie biliari avanzato, mostrando un notevole beneficio di sopravvivenza con durvalumab aggiunto alla chemioterapia, con un regime ben tollerato – conclude Susan Galbraith, Executive Vice President, Oncology R&D, AstraZeneca – Questi dati rappresentano il follow-up di sopravvivenza più esteso mai riportato da un trattamento immunoterapico in questo setting, e il miglioramento della sopravvivenza a tre anni sottolinea il nostro impegno a migliorare i risultati a lungo termine nei tumori gastrointestinali”.

 

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