Intervista al direttore scientifico Giuseppe Ippolito«La prima arma di difesa di chi è sul campo è la formazione»
La battaglia dell’infermiere sardo 37enne, contagiato in Sierra Leone, per sconfiggere l’Ebola riparte da una certezza: l’Istituto Nazionale di ricerca per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”.
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Che sia un polo d’eccellenza, un fiore all’occhiello della sanità italiana, è stato già ampiamente dimostrato e confermato anche con la guarigione di Fabrizio Pulvirenti. Per questo secondo caso italiano sono state mobilitate oltre 100 persone. Medici, infermieri, volontari, scienziati e ricercatori sono al lavoro 24 ore su 24, muovendosi tra stanze a pressione positiva o negativa e indossando sempre guanti, tute protettive bianche, occhiali e visiera. Ci si attiene a scrupolose procedure internazionali, ma si fa leva anche sulla competenze sviluppate in circa venti anni con un solo obiettivo: salvare il volontario di Emergency. Il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello “Spallanzani”, ha fatto il punto ai microfoni di Sanità informazione sulla nuova emergenza e su quello che è stato messo in campo per affrontarla.
Professore, una nuova sfida che può essere affrontata partendo dall’esperienza e dalla professionalità già dimostrata in più occasioni.
«È dal 1996 che l’istituto Spallanzani segue un preciso protocollo per la gestione delle emergenze. Noi lo applicheremo alla lettera anche in questa nuova circostanza. Faremo anche tesoro delle esperienze vissute in questi ultimi anni, sia in Italia che all’estero, relativamente alle diverse emergenze che abbiamo gestito con capacità cliniche, diagnostiche e di valutazione epidemiologica».
Anche questo nuovo caso di Ebola dimostra che la prima arma di difesa di chi è sul campo è la formazione.
«I protocolli di formazione previsti per i team che vanno sul posto vengono illustrati a chiunque debba partire per l’Africa. Tutti ricevono la formazione più adeguata. Si tratta di un meccanismo che rappresenta un modello da estendere a tutte le malattie infettive, dunque non solo ad Ebola, e in tutte le strutture. Anche in Italia. In particolar modo a quelle che ancora non hanno ben chiara l’importanza di prevenire le infezioni».
Quindi insieme alla formazione diviene fondamentale anche l’informazione.
«Esattamente, l’informazione serve a controllare, a evitare allarmismi e a gestire i rischi a evitare preoccupazioni ingiustificate».
L’esperienza del dottor Pulvirenti potrà essere comunque importante per gestire questo nuovo caso.
«Tutte le esperienze le abbiamo capitalizzate insieme agli ormai 15 mesi in Guinea, Liberia, Sierra Leone e Nigeria, dove si sta facendo di tutto per fronteggiare questa epidemia di Ebola. Ad ogni modo tutto fa conoscenza, formazione, informazione aggiornamenti. Resta determinante interfacciarsi con la struttura di coordinamento per i casi fuori dall’Africa».