La portata innovativa di questo momento di svolta per la malattia è la possibilità concreta di cavalcare questa onda della ricerca e dell’innovazione, Sansone (Nemo): “Diversi, infatti, sono gli studi clinici farmacologici oggi attivi o in fase di attivazione che si propongono di studiare i differenti meccanismi di azione, specifici per la patologia”
Possiamo finalmente parlare oggi di “onda terapeutica” per le Distrofie Miotoniche, pensando agli sviluppi che la ricerca clinica sta compiendo per le persone con queste distrofie. Ecco perché è importante condividere con i pazienti e le famiglie il fermento che si sta vivendo nella comunità scientifica internazionale: “Per patologie complesse e multifattoriali come le Distrofie Miotoniche è prioritaria una corretta presa in carico che permetta di rispondere ai tanti bisogni di cura e migliorare così la qualità di vita dei pazienti in tutti i suoi aspetti. E l’avvento oggi dei nuovi studi farmacologici ci permette di offrire anche una speranza di cura”, spiega Valeria Sansone, Direttore clinico-scientifico del Centro Clinico NeMO Milano e prof. Ordinario di Neurologia dell’Università degli Studi di Milano, in un’intervista a Sanità Informazione.
La portata innovativa di questo momento di svolta per la malattia è la possibilità concreta di cavalcare questa onda della ricerca e dell’innovazione: “Diversi, infatti, sono gli studi clinici farmacologici oggi attivi o in fase di attivazione che si propongono di studiare i differenti meccanismi di azione, specifici per la patologia. Ad oggi – continua Sansone – gli studi risultano essere di fase 1 o 1/2, ossia studi che valutano la tollerabilità e la sicurezza delle molecole, ma si pongono anche i primi obiettivi esplorativi di efficacia”. I primi risultati degli studi in corso sono senza dubbio incoraggianti, soprattutto nella valutazione della sicurezza del trattamento sperimentale, che è lo scopo della fase 1 dei trial farmacologici. Se confermati, si potrà iniziare a verificarne l’efficacia, prima con un gruppo ristretto di pazienti e poi, nella fase 3 del trial, con un gruppo più ampio. Uno degli outcome che la ricerca clinica sulla malattia si propone di valutare è proprio l’efficacia dei trattamenti nel ridurre i segni della miotonia, che sono tipici di questo tipo di Distrofie e caratterizzati dal rilassamento ritardato (contrazione prolungata) dei muscoli scheletrici, dopo la contrazione volontaria o stimolazione elettrica. Questo perché il meccanismo che causa la miotonia si ritiene essere lo stesso meccanismo sottostante i sintomi dell’interessamento multiorgano; In concreto; se migliora la miotonia c’è razionale scientifico per pensare che migliorino gli altri sintomi che condividono lo stesso meccanismo patogenetico, come per esempio la fatica, l’insulino-resistenza o le aritmie.
Le distrofie miotoniche sono malattie genetiche, autosomiche dominanti, caratterizzate da debolezza muscolare, cataratta precoce (prima dei 50 anni), miotonia ed interessamento multisistemico. Oltre al muscolo scheletrico sono compromessi molteplici organi, tra i quali il cuore, la muscolatura respiratoria l’occhio la muscolatura liscia ed il sistema nervoso centrale. I pazienti possono avere più frequentemente difficoltà riproduttive, diabete e disordini endocrini. “Ad oggi la presa in carico mira a trattare i sintomi che caratterizzano la malattia, ed è fondamentale e prioritario affiancare il paziente con specifici percorsi riabilitativi che si prendono cura in modo multidisciplinare e multisistemico di tutti gli aspetti funzionali, così come è importante dal punto di vista clinico prevenire le complicanze, come ad esempio quelle cardiache – spiega il direttore clinico-scientifico del NeMO Milano – La ricerca oggi però ci fa pensare che stiamo iniziando un percorso concreto, anche se lungo, per l’individuazione di farmaci e trattamenti di cura efficaci”.
La ricerca in ambito pediatrico sui nuovi farmaci, invece, sta iniziando ora il suo sviluppo, con tempi più dilatati rispetto agli studi con gli adulti, perché ancora vanno definite le misure di outcome, cioè le dimensioni che devo essere misurate, alla luce del quadro clinico che in questo caso è dominato anche dagli aspetti cognitivi e comportamentali, oltre che neuromotori. Per questo è ancora più importante, in questo momento storico, partecipare alla raccolta di dati e informazioni per definire in modo molto corretto e preciso la storia naturale di malattia: “Conoscere gli indicatori di misurazione dell’evoluzione della malattia significa farsi trovare pronti ad accogliere l’onda terapeutica che presto – conclude il direttore clinico-scientifico del NeMO di Milano – arriverà anche per i bambini”.
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