L’ecografia polmonare nei neonati pretermine permette di capire subito se il piccolo avrà bisogno della somministrazione di surfattante, della terapia intensiva neonatale o solo di un monitoraggio. Lo dimostra uno studio pubblicato su JAMA Network Open.
L’ecografia polmonare nei neonati pretermine, a poche ore di vita, permette di capire subito se il piccolo avrà bisogno della somministrazione di surfattante (sostanza naturale prodotta nel polmone, carente nei neonati prematuri, che impedisce il collasso degli alveoli), della terapia intensiva neonatale o solo di un monitoraggio che gli permetterà di stare accanto alla mamma. E’ la tecnica non-invasiva studiata da una collaborazione fra l’Università degli Studi di Napoli Federico II, l’Università di Padova, l’Università francese Paris-Saclay, e altri atenei stranieri, la cui utilità è stata descritta in uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Network Open.
Lo studio è un progetto altamente innovativo e di grande valore in termini di sanità pubblica che ha utilizzato l’ecografia polmonare quantitativa in 157 neonati valutati ad un’età media di 3 ore di vita. L’eco polmonare è una tecnica non-invasiva, applicabile al letto del paziente (point-of-care), non gravata dall’utilizzo di radiazioni ionizzanti delle radiografie e facile da imparare: la sua implementazione, perciò, ha permesso un’assistenza neonatale più personalizzata oltre ai vantaggi suddetti. Lo studio è stato coordinato da un gruppo di studio delle Università Paris Saclay e Stanford diretto dal professore Daniele De Luca, che ha messo a punto l’ecografia polmonare quantitativa in collaborazione con Francesco Raimondi e Letizia Capasso dell’Università di Napoli. I neonatologi padovani della terapia intensiva neonatale dell’Azienda Ospedale-Università di Padova da tempo hanno introdotto questa metodica in reparto e hanno contribuito alla realizzazione dello studio.
“Lo studio continua una linea di ricerca cominciata a Napoli oltre 10 anni fa – dice Raimondi direttore della Terapia Intensiva Neonatale dell’Università Federico II – che ha permesso di ridurre il numero di radiografie al neonato e con esse il carico, a volte pesante, di radiazioni ionizzanti. L’ecografia polmonare arriva così nelle mani del clinico che la usa come estensione dell’esame obiettivo. Essa consente una rapida diagnosi di condizioni potenzialmente mortali come lo pneumotorace iperteso e permette anche un tempestivo allarme nei centri nascita di primo livello che non sono dotati delle sofisticate attrezzature della Neonatologia moderna.
“L’applicazione dell’ecografia alla patologia respiratoria, che è il problema principale della Neonatologia, è un successo della ricerca clinica italiana che i colleghi di tutto il mondo ci riconoscono volentieri”, sottolinea Raimondi. “Con l’ecografia è stato possibile capire a pochissime ore di vita se il neonato andrà incontro ad insufficienza respiratoria grave o no, quindi se avrà bisogno di essere trasferito in terapia intensiva neonatale, magari a chilometri di distanza, o se potrà restare vicino alla mamma o nell’ospedale di nascita con un supporto respiratorio minore”, spiega Eugenio Baraldi, direttore del dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova.
I vantaggi sono molteplici sia sul piano medico, che logistico e familiare. Prima di questo studio la decisione di somministrare il surfattante per via endotracheale veniva presa in base alla necessità di ossigeno; ora invece la decisione clinica può essere presa affiancando l’ecografia del polmone che permette una valutazione più specifica e sensibile. Oggi l’ecografia polmonare quantitativa fornisce informazioni più precise rispetto ad una radiografia tradizionale del torace e viene utilizzata oltre che nei neonati anche nei bambini con problemi respiratori come la bronchiolite e la polmonite”.
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