Salute 12 Giugno 2024 15:43

Viaggi spaziali, dalle alterazioni immunitarie ai danni renali: su Nature le sfide per la salute umana

Pubblicato in 27 articoli, su diverse riviste del gruppo Nature, il più vasto atlante dei problemi correlati messo a punto nell’ambito del progetto Soma (Space Omics and Medical Atlas)

di I.F.
Viaggi spaziali, dalle alterazioni immunitarie ai danni renali: su Nature le sfide per la salute umana

Dalle alterazioni delle cellule del sistema immunitario, fino a gravi danni a livello dei reni: i viaggi spaziali di lunga durata, come le future missioni sulla Luna o su Marte, sono una sfida per la salute umana. È quanto emerge dal più vasto atlante dei problemi correlati messo a punto nell’ambito del progetto Soma (Space Omics and Medical Atlas), pubblicato in 27 articoli su diverse riviste del gruppo Nature. Gli studi comprendono l’analisi di campioni raccolti dal primo equipaggio interamente civile della missione privata Inspiration4 di SpaceX, e da diversi astronauti che hanno trascorso 180 giorni o un anno sulla Stazione Spaziale Internazionale. I risultati potrebbero anche portare a nuovi trattamenti per contrastare le conseguenze dell’invecchiamento sulla Terra.

Il volo spaziale di breve durata

I dati raccolti indicano che anche il volo spaziale di breve durata nella bassa orbita terrestre induce cambiamenti nell’organismo simili a quelli provocati da una permanenza maggiore, e che l’assenza di gravità modifica la struttura delle cellule immunitarie, alterandone il funzionamento. Tra gli organi più a rischio nelle missioni di lunga durata ci sono poi i reni, che verrebbero danneggiati in modo permanente e irreversibile. Nel primo articolo, pubblicato su Nature da Eliah Overbey della Scuola di Medicina americana Weill Cornell e colleghi, i dati raccolti indicano che anche il volo spaziale di breve durata in orbita terrestre bassa induce cambiamenti nell’organismo simili a quelli provocati da una permanenza maggiore: tra questi, si riscontrano elevati livelli di citochine (molecole che modificano l’attività delle cellule in risposta ad uno stimolo), e cambiamenti nell’espressione di geni legati all’attivazione del sistema immunitario e alla riparazione dei danni causati al Dna. Oltre il 95% di questi parametri tornano a valori normali nei mesi successivi, ma alcuni mantengono valori alterati per periodi di tempo più lunghi, almeno tre mesi dopo la missione.

Ecco perché la mancanza di gravità influisce sulle cellule immunitarie

Uno degli studi pubblicati su Nature Communications, coordinato da Mathias Basner dell’Università della Pennsylvania e Christopher Mason della Scuola di Medicina Weill Cornell, ha evidenziato per la prima volta come la mancanza di gravità influisca sulle cellule immunitarie. Analizzando cellule del sangue coltivate in un ambiente di microgravità simulata e combinando i dati con quelli provenienti da astronauti e topi che hanno raggiunto la Iss (la Stazione Spaziale Internazionale), i ricercatori hanno evidenziato che l’assenza di gravità modifica la struttura di questi guardiani dell’organismo e ciò , a sua volta, ne altera il funzionamento. Gli autori, però, hanno anche identificato alcuni composti che possono proteggere le cellule dagli effetti dannosi dello spazio: tra i più  promettenti c’è la quercetina, un molecola di origine vegetale che si trova, ad esempio, nell’uva, nelle cipolle rosse, nel the verde, nelle mele e nei mirtilli, e che si è dimostrata in grado di invertire il 70% dei cambiamenti causati dalla microgravità.

I danni renali

Tra le ricerche più interessanti c’è anche quella guidata da Keith Siew dello University College London, pubblicata sempre su Nature Communications e secondo la quale i reni verrebbero danneggiati in modo permanente e irreversibile da un’ipotetica missione su Marte, cosa che ovviamente ne pregiudicherebbe il successo. I risultati dello studio, che ha incluso campioni di astronauti e simulazioni in cui i topi sono stati esposti a dosi di raggi cosmici equivalenti a missioni di 1,5 e 2,5 anni, mostrano che i reni vengono rimodellati dalla permanenza nello spazio: in particolare i tubuli renali, che regolano l’equilibrio di calcio e sale, si restringono già dopo un mese, probabilmente più per l’assenza di gravità che a causa dell’esposizione alla radiazione cosmica. “Se non svilupperemo nuovi modi per proteggere i reni, un astronauta potrebbe riuscire ad arrivare su Marte – dice Siew – ma avrebbe bisogno della dialisi per il viaggio di ritorno. Inoltre, sappiamo che i reni non mostrano subito i danni provocati dalle radiazioni: quando questi diventerebbero evidenti – conclude il ricercatore – sarebbe probabilmente troppo tardi”.

 

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