La scoperta è stata possibile grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per l’interpretazione delle immagini della risonanza magnetica cerebrale di 800 pazienti. Lo studio apre la strada a cure sempre più personalizzate
La depressione non è una sola: ne esistono almeno sei sottotipi differenti, che coinvolgono regioni distinte del cervello e rispondono in modo diverso alle terapie. La scoperta è stata possibile grazie all’intelligenza artificiale utilizzata per l’interpretazione delle immagini della risonanza magnetica cerebrale di 800 pazienti. Lo studio, che apre la strada a cure sempre più personalizzate, è stato pubblicato sulla rivista Nature Medicine da un team internazionale guidato dal neuroscienziato italiano Leonardo Tozzi, dell’Università di Stanford, in California.
Il lavoro rappresenta “la dimostrazione di un approccio di medicina personalizzata per la salute mentale basato su misure oggettive della funzione cerebrale”, osserva la coordinatrice dello studio Leanne M. Williams della Stanford University, che quasi dieci anni fa, dopo aver perso il proprio partner a causa della depressione, ha deciso di focalizzare le sue ricerche sulla psichiatria di precisione. L’obiettivo è trovare nuovi metodi che permettano di indirizzare ciascun paziente verso il percorso terapeutico più efficace, considerato che ad oggi il 30% dei casi di depressione non risponde alle terapie e i due terzi dei soggetti trattati non riescono a ottenere il pieno recupero della qualità di vita. I ricercatori hanno sottoposto 801 pazienti affetti da depressione o ansia a una risonanza magnetica funzionale del cervello, in modo da rilevare l’attività di specifiche aree legate alla depressione, sia a riposo che durante l’esecuzione di alcuni compiti. Le immagini ottenute sono state esaminate con un algoritmo di apprendimento automatico che ha permesso di raggrupparle in sei tipologie differenti.
Successivamente, a 250 dei partecipanti allo studio sono stati prescritti, in modo casuale, dei farmaci antidepressivi o la terapia cognitivo-comportamentale. È emerso che un sottotipo di depressione, caratterizzato da iperattività nelle regioni cognitive del cervello, è quello che risponde meglio all’antidepressivo venlafaxina. La terapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata più efficace in un altro sottotipo di pazienti in cui il cervello a riposo aveva livelli di attività più elevati in tre regioni associate alla depressione e alla risoluzione dei problemi. I meno responsivi alla terapia cognitivo-comportamentale sono stati invece i pazienti appartenenti a un terzo sottotipo che a riposo aveva livelli più bassi di attività nel circuito cerebrale che controlla l’attenzione. Identificando il sottotipo di depressione con la risonanza magnetica, i ricercatori sono riusciti a prevedere la probabilità di remissione della malattia nel 63% dei casi contro il 36% ottenuto senza diagnostica per immagini.
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