Uno studio dell’Università di Padova ha scoperto in che modo l’infezione Covid-19 accelera l’invecchiamento biologico, specialmente nella popolazione maschile. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Molecular Sciences
L’infezione Covid-19 riesce ad accelerare l’invecchiamento biologico, lasciando traccia di sé a lungo termine, e lo fa attraverso le infiammazioni e lo stress ossidativo sia nelle persone che hanno sintomi, sia negli asintomatici. A descrivere il fenomeno, che è più frequente negli uomini, è una ricerca pubblicata sul Journal of Molecular Sciences e coordinata dall’Università di Padova, con il suo gruppo interdisciplinare Medicina del lavoro dell’azienda ospedale. I ricercatori hanno considerato il marcatore biologico oggi più attendibile per valutare l’età, ossia la metilazione del Dna (DnamAge) che indica i gruppi chimici che agendo in determinati punti del Dna possono bloccare o attivare l’espressione di un gene.
“A un anno dal contagio si è riscontrato un invecchiamento biologico accelerato nelle cellule dell’espettorato rispetto ai leucociti del sangue e alle cellule nasali”, osserva la coordinatrice della ricerca Sofia Pavanello, del dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e sanità pubblica dell’Università di Padova. “Questa evidenza suggerisce un tessuto polmonare particolarmente vulnerabile anche in soggetti contagiati da Covid-19 con poca o nulla sintomatologia“, aggiunge. I dati indicano che “questo invecchiamento biologico si associa maggiormente al genere maschile” e un altro risultato importante, prosegue la ricercatrice, è che “a parità di contagio e sintomi, chi presenta glicemia alta e alti livelli di Ldl (colesterolo cattivo) ha un maggior rischio di invecchiare più velocemente”.
Lo studio è stato condotto su 76 operatori sanitari dell’azienda ospedaliera contagiati nella prima ondata e poco o per nulla sintomatici: un campione considerato come rappresentativo, rileva l’università in una nota, visto il limitato contagio nella struttura ospedaliera (144 su 8.240 operatori sanitari). E’ emerso così che a un anno dall’infezione si sono rilevate una riduzione della capacità respiratoria e della frequenza cardiaca media e che il 30% del campione “ha sperimentato sintomi persistenti come difficoltà respiratoria (dispnea) e problemi cognitivi (problemi di concentrazione, memoria e ansia)”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato