Una circolare del ministero della Salute, emanata il 12 agosto 2020, ha cambiato le modalità di esecuzione dell’aborto farmacologico in Italia allungando i tempi di attuazione, che non deve più essere entro la settima settimana di gestazione, bensì entro la nona
Nel 2022, per la prima volta, l’aborto farmacologico, ovvero basato sull’assunzione della pillola Ru486, ha superato la tecnica chirurgica. E ormai può essere eseguito anche in regime ambulatoriale. La pillola in questione, utilizzata sin dal 1989 per l’aborto medico, è a base di mifepristone, un antagonista del progesterone, il principale ormone deputato allo sviluppo e al mantenimento della gravidanza. La diffusione e disponibilità della pillola Ru486 in Italia è stata rilevata dall’Istat nel rapporto “L’interruzione volontaria di gravidanza in un’ottica generazionale“.
Dal documento si osserva un “lento adeguamento alle disposizioni del ministero da parte delle Regioni”, che tuttavia, come precisano gli autori del Report “dovrebbero migliorare e facilitare l’accesso al servizio a tutte le donne”. Una circolare del ministero della Salute emanata il 12 agosto 2020 ha cambiato le modalità di esecuzione dell’aborto farmacologico in Italia allungando i tempi di attuazione, che non deve più essere entro la settima settimana di gestazione, bensì entro la nona. Inoltre, può essere eseguito, oltre che in regime ospedaliero, anche presso strutture ambulatoriali pubbliche attrezzate.
“Nonostante la circolare sia stata emanata nel 2020, sono ben poche le regioni che hanno iniziato a offrire l’aborto farmacologico in ambulatori o consultori. Nel 2020 solo la Toscana e solo negli ambulatori. Nel 2021 si aggiunge il Lazio con sette strutture. Nel 2023 si è affiancata l’Emilia-Romagna con 14 strutture (cinque ambulatori e nove consultori). Nel 2024 (indagine in corso) la Provincia autonoma di Trento ha comunicato l’apertura di 10 punti nei consultori che dovrebbero offrire l’aborto farmacologico mentre l’Emilia-Romagna ha fornito una lista di 16 strutture, il Lazio di 15 e la Toscana di 23.
Altro nodo sono proprio i consultori, i luoghi deputati a fornire informazioni sulla salute della donna. Dall’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, spiega il rapporto Istat, emerge “la presenza di pochi consultori rispetto ai bisogni della popolazione”: dovrebbero esser per legge uno ogni 20 mila abitanti, invece, a livello nazionale nel 2021 “se ne contano quasi uno ogni 30 mila“. E solo cinque sono le regioni che rispettano lo standard raccomandato: Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Umbria e Basilicata.
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