L’anno in cui ne sono nati tre, il 2009, è stato più unico che raro. Con una popolazione di 330mila persone, sono uno o due i bambini che nascono ogni anno con la sindrome di Down in Islanda. La diffusione dei test prenatali che svelano la percentuale di possibilità che il bambino soffra di qualche […]
L’anno in cui ne sono nati tre, il 2009, è stato più unico che raro. Con una popolazione di 330mila persone, sono uno o due i bambini che nascono ogni anno con la sindrome di Down in Islanda. La diffusione dei test prenatali che svelano la percentuale di possibilità che il bambino soffra di qualche malformazione ha comportato, nei Paesi occidentali, una drastica diminuzione di neonati con questo genere di malattie. Sono sempre di più infatti i genitori che, una volta ricevuto il risultato positivo del test, decidono di interrompere la gravidanza: secondo i dati pubblicati dalla CBS, negli Stati Uniti, dove ogni anno nascono 6mila bambini con la sindrome di Down, il tasso di interruzione della gravidanza è pari al 67%; in Francia del 77%. In Danimarca raggiunge addirittura il 98%, ma in Islanda la percentuale è vicinissima al 100%.
Il test prenatale, introdotto in Islanda nei primi anni 2000, non è obbligatorio, ma tutte le donne in attesa devono essere informate della sua esistenza: di fatto, circa l’85% delle donne islandesi decide di sottoporsi all’esame che, combinando i risultati di un’ecografia e di un’analisi del sangue con l’età della mamma, determina con un’accuratezza dell’85% se il feto presenta un’anomalia cromosomica, la più frequente delle quali è proprio la sindrome di Down.
Nel caso in cui il risultato sia positivo, la legge in Islanda consente l’interruzione della gravidanza entro la sedicesima settimana di gestazione. Le donne che si trovano davanti a una decisione così difficile sono assistite e sostenute da personale sanitario: «Diciamo alle mamme “questa è la tua vita e tu hai il diritto di scegliere che tipo di vita vuoi vivere” – dichiara alla CBS Helga Sol Olafsdottir, che lavora all’ospedale di Reykjavìk-. In questi casi l’aborto non può essere considerato come un omicidio ma come l’interruzione di una vita che potrebbe avere tante complicazioni, prevenendo grandi sofferenze per il bambino e per la sua famiglia. Vedere queste interruzioni di gravidanza come un omicidio è troppo “o bianco o nero”. Ma la vita non è tutto o bianco o nero. La vita è grigia».
«Cerchiamo di svolgere il nostro lavoro nel modo più neutrale possibile – ha detto alla CBS Hulda Hjartardottir, responsabile dell’unità di diagnosi prenatali dell’ospedale Landspitali di Reykjavík -. Tuttavia per alcune persone la proposta stessa di eseguire il test ti conduce verso una determinata direzione».
Ci sono anche alcuni genitori che, ottenendo dal risultato del test un tasso di rischio molto basso (nel caso di una mamma intervistata dalla CBS pari a una possibilità su 1600), decidono di continuare la gravidanza; in alcuni casi, daranno alla luce i pochi bambini islandesi con un cromosoma 21 in sovrannumero.
Come si poteva immaginare, il dossier dell’emittente americana ha scatenato diverse reazioni, alcune delle quali con toni anche molto accesi, che possono facilmente essere suddivise tra pro-life e pro-choice. Il tema è tuttavia estremamente delicato, come ha dichiarato Kari Stefansson, fondatore della deCODE Genetics, una compagnia che ha studiato il genoma di quasi tutta la popolazione islandese: «Non penso ci sia nulla di sbagliato nel desiderare dei figli sani, ma quanto in là ci si può spingere per raggiungere quest’obiettivo? Questa è e sarà una questione effettivamente complicata da affrontare».